Devo dire. Ho sempre sentito parlare abbastanza male della run di Spencer su Amazing Spider-Man, eppure questi primi due volumi li ho trovati piuttosto gradevoli e freschi. Certo, bisogna sempre sorvolare sul fatto che Peter ad ogni cambio team gestione torna al suo status di disoccupato, sempre più sfigato, etc, ma è un buon inizio. Vediamo come si evolve (male?).
Quattro stelle perché, al di là della presenza di quella cafonata di “Onslaught” (tie-in e finale) e del sempre poco adatto Medina ai disegni, David riesce a rendere tutto sempre, SEMPRE, vivace e soprattutto coerente, cosa incredibile di mezzo ad un maxi evento che cerca in tutti i modi di sabotarti la gestione (fatti i ca**i tuoi, Marvel).
Anche qui cambio disegnatore: fuori Medina, dentro Mike Deodato Jr. che porta uno stile più dosato e più cupo. Promettente (per le storie di Hulk, visto che sappiamo bene cosa è diventato oggi).
Che dire, dopo l'addio di Gary Frank non c'è più stato nessun disegnatore in grado di interpretare al meglio le (brillanti) sceneggiature di Peter David, e anche in questo volume si continua ad annaspare: fuori l'eccessivo Liam Sharp, dentro il grottesco ed esagerato Angel Medina, probabilmente l'artista meno indicato nonostante “grottesco” ed “esagerato” siano attributi ben calzanti al Gigante di Giada. Dicevamo dell'interpretare le sceneggiature, che comporta un non valorizzare i momenti topici che dovrebbero costruire quel crescendo che troviamo nelle ultime pagine del volume, ed è un peccato, un gran peccato, perché smorza tantissimo la tensione e la discesa nella follia del personaggio.
Beh, notevole. Arrivati (quasi) a metà ciclo, non posso che essere preso davvero molto bene per questa serie: un tripudio di ossa, sangue e raggi gamma, un body-horror dalle tinte apocalittiche, reso ancora più incredibile se si pensa che lo ha pubblicato la Marvel in questi ultimi anni (per chi non segue la scena americana, anni di pochissima libertà creativa).
Sta diventando molto difficile leggerlo un po' per volta e non sbafarselo tutto insieme.
Come si suol dire, se non hai qualcosa di buono da dire, non dire niente.
Recuperato solo per le barocchissime tavole di Simone Bianchi, peraltro massacrate da colori dalle tonalità cupissime (bella idea, considerando la presenza dei mezzitoni).
Peter David Deus Ex Machina totale, come riusciva a legare tutte le trame e gli spunti agli eventi più beceri, risultando piacevole nella lettura e al contempo efficace nel portare avanti il suo lavoro su Hulk. Un grandissimo. Così come il grandissimo Adam Kubert alle tavole, il disegnatore perfetto per le storie di David.
Il difetto più grosso? È il penultimo numero della gestione David.
Rivisitazione post-modernista de La bella addormentata nel bosco, o quantomeno del suo finale: e se la principessa Rosaspina non si fosse più risvegliata? Se il principe non l'avesse baciata? Un incipit interessante che ci porta in un mondo violento è da cui prende piede questa fiaba oscura. Questo primo volume prepara i pezzi, delineando i background dei personaggi, le loro dinamiche e il mondo in cui si muovono.
La parte artistica è di altissimo livello, con uno stile tondeggiante e pulito che contrasta con le efferatezze perpetrate dai personaggi e una colorazione pastellosa (ma non stucchevole) che scivola nell'oscurità e nel sangue.
L'unico difetto? Finisce, e non è detto che continui. Ad oggi infatti non ci sono notizie sul secondo numero, sigh.
Arrivati alla fine del dodicesimo capitolo, ci si comincia a chiedere quand'è che si ingrana. Nel frattempo, bello rivedere Mondo Saotome: le incursioni dei personaggi nagaiani in altre opere rendono il tutto piacevole e al tempo stesso bizzarro.
Questo primo libro è principalmente un'introduzione: con un robusto lavoro di worldbuilding, ci vengono fatti conoscere l'isola che dà il nome alla saga, i personaggi che popolano la vicenda e le dinamiche tra loro. La narrazione in media res chiede al lettore un certo livello di attenzione per cogliere i dettagli e collegare i fili di una vicenda fitta, ricca di tematiche come ecologia, politica e potere, che verranno sicuramente approfondite nel volume successivo. Interessanti gli inserti tra i vari capitoli, che forniscono le informazioni necessarie per comprendere il contesto della storia. Tuttavia, i dialoghi molto verbosi e l'avanzamento troppo veloce degli eventi tolgono respiro agli eventi e ai personaggi. Superata questa introduzione, immagino che il prossimo volume ne guadagnerà.
A livello estetico, le tavole di Tanzillo colpiscono forte, creando un mondo variegato con uno stile grafico originale. Ricche di dettagli e colorate con una palette quanto più monocromatica possibile, squarciata solo da alcuni colori, restituiscono un'atmosfera angosciante e cupa.
Deliri febbrili, pt. 2
Adattamento a fumetti del soggetto originale per “RoboCop 3” firmato da Frank Miller, con Steven Grant ai testi e Korkut Öztekin ai disegni.
Come il volume precedente, si fa un ottimo lavoro nel portare temi e idee di Miller su carta, ma il risultato finale rimane eccessivo, caotico, senza un vero ritmo e narrazione. C'è da dire che, rispetto al precedente, ci si guadagna con i disegni, finalmente più leggibili ma non per questo meno dettagliati o incisivi.
Ottime le copertine di Declan Shalvey.
Delirio febbrile, pt. 1
Adattamento a fumetti del soggetto cinematografico che Frank Miller scrisse per il sequel del film “RoboCop”. Sequel che effettivamente venne poi realizzato e accreditato a Miller come soggettista e sceneggiatore, solo che lui, quel film, lo ha disconosciuto perché, tra rimaneggiamenti, tagli e smussature varie, non rispecchiava ciò che lui aveva ideato. Passa qualche anno, la Avatar Press acquisisce i diritti per i fumetti di RoboCop, prende lo script di Miller (che rimane come supervisore e copertinista) e lo affida a Steven Grant e Juan José Ryp, per dar vita alla visione originale di RoboCop 2 immaginata dallo stesso Miller. Il risultato, ben mixato all'estetica cyberpunk, è in linea con il corpus milleriano: una feroce e spietata critica sociale, l'utilizzo martellante dei media, personaggi ambigui e tormentati che si aggirano in un contento urbano cupo e decadente. Peccato che al di là di queste caratteristiche base si corra troppo e si spinga in maniera davvero esagerata sul pedale dell'ultra violenza, senza alcun controllo e con zero ritmo.
Quasi quasi (e lo dico da massimo estimatore di Miller) era meglio il film.
Generalmente non metto i voti ai singoli volumi, ma questo meritava così tanto che non mi sono potuto esimere. L'opprimente e violenta caduta all'inferno dei nostri protagonisti è pazzesca.
Le cose più urban e legate al personaggio di Boomerang sono le cose migliori di questa gestione Spencer, peccato che poi si debba fare sempre macello con ottocento miliardi di costumi e rumore.
Un saggio introduttivo per conoscere la figura di Frank Miller, forse troppo interessato agli eventi biografici che agli aspetti ideologici e stilistici, toccati in minima parte. Scorre comunque bene e, come detto in apertura, è un buon testo per cominciare a capire chi è Miller, uomo e autore.
Una riflessione sul dolore e sulla capacità di ricostruirsi dopo le avversità, e inevitabilmente il primo pensiero è andato verso il kintsugi, l'arte giapponese di riparare con l'oro gli oggetti rotti, in questo caso metafora del percorso di Mattia e Laila. Una buona opera, a fronte di riflessioni appesantite da una certa prevedibilità e semplicità di fondo.
Le tavole di Petruccioli sono pulite ed incredibilmente espressive, attraverso il tratto essenziale e la scelta di una palette cromatica contrastata crea un'atmosfera evocativa molto coinvolgente. Bellissime.
Probabilmente mi aspettavo qualcosa di più da quel “gene del talento”: in questo libro sono raccolti articoli dedicati a film, fumetti e romanzi che hanno formato/forgiato vita, opere e pensieri di Hideo Kojima che gettano sì una luce abbastanza interessante sulla persona e sul director, ma nulla di più, senza dare qualcosa di davvero memorabile (tra le due parti, molto più interessante la seconda, comunque). Come scritto inizialmente, probabilmente sono io che mi aspettavo qualcosa di diverso, alla fine è più un libro sulla connessione tramite opere (è dunque uno spin off di Death Stranding? Forse).
Mi reputo un buon conoscitore della Marvel, sia delle storie da loro prodotte che della sua storia, e quando ho saputo dell'esistenza di questo titolo, colpito dalla premessa che l'autore avesse letto tutto il corpus della Casa delle Idee, mi sono incuriosito su cosa volesse trattare in questo volume.
Di tutto quello che mi aspettavo (analisi sugli autori, sulle storie, sui temi sociopolitici attraverso i fumetti, etc), c'è stato un po' tutto. Peccato che sia trattato tutto in maniera abbastanza superficiale e schematica. Inoltre, non capisco a chi si rivolga: al fan di lungo corso risulterà tutto già conosciuto, mentre per un novizio mi sembra troppo poco “entry level”, visto che spesso si danno per scontate dinamiche e vicende importanti.
Detto questo, non lo reputo un cattivo testo, anzi: mi ha intrattenuto e ricordato diverse storie ed eventi, aprendomi a volte le porte della nostalgia.
Se era questo l'obiettivo, great job, cinque stelle senza pensarci. Ma per quanto mi riguarda poteva essere una buona occasione per approfondire maggiormente dell'altro.
Ho sempre un po' di difficoltà con le raccolte di interviste: normalmente un qualsiasi autore dice tutto ciò che deve dire nelle sue opere, le interviste diventano quindi un di più che in tante occasioni risulta superfluo, didascalico. Questa raccolta non fa differenza, prende una manciata di chiacchiere tra Bukowski e alcune riviste, giornalisti, persino attori, e ti pianta lì il risultato. Ed è molto carino vedere attraverso queste interviste i vari e piccoli cambiamenti di Bukowski ma, come ho scritto nella premessa, un autore parla attraverso le proprie opere, e Bukowski era uno che portava se stesso e il proprio vissuto nei suoi romanzi e nelle sue poesie, senza alcun tipo di filtro.
Più che un 3/5 sarebbe un 2,5/5, giusto per l'affetto verso Hank e la compagnia che mi ha tenuto negli anni, senza questo sarebbe un libro che non avrei proprio portato a termine.
Il primo libro, complice anche la serie tv vista in precedenza, mi aveva preso benissimo. Questo secondo libro... sicuramente buono, ma penso mi abbia lasciato abbastanza freddo e confuso, complice la lunghezza un po' eccessiva della storia. Nonostante sia stato scritto diversi anni fa, è sicuramente attuale (tanto da far venire i brividi più di una volta) e Reacher è sempre clamoroso.
Un libro che altri non è che un lunghissimo flusso di pensiero sui film preferiti da QT, commentati, analizzati, letteralmente smembrati per parlare di società, persone e ovviamente di cinema e cosa lo rende così magico e speciale. Personalmente? L'ho amato. Si può sentire tutta la passione per il cinema da parte di QT, attraverso un registro informale e senza troppi freni, rendendolo quasi un dialogo diretto con lui.
Ancora, Quentin. Please!
Più o meno sapevo già cosa aspettarmi da questo volume e le (buone) aspettative che avevo sono state ripagate: una storia fresca, dinamica, queer, che rispecchia molto bene la personalità delle due autrici. Da limare alcuni problemi di narrazione, sia a livello di sceneggiatura che di disegni, alle volte un po' affrettata e superficiale.
Una buona opera prima di due giovani autrici che sicuramente riusciranno ad incidere nel panorama fumettistico italiano, tecnica e personalità ci sono eccome.