“Nella quarta dimensione” è un libro magnifico, che non potrebbe esistere senza i precedenti due ma che eleva tutta la trilogia.
Avevo apprezzato, ma non fino in fondo, “La materia del cosmo” e forse nemmeno questo terzo capitolo può dirsi il mio preferito della serie. “Il problema dei tre corpi”, nonostante una parte finale un po' trascinata e didascalica, sapeva essere travolgente in maniera unica.
Eppure non posso che adorare la coerenza e la compiutezza che “Death's End” (titolo molto più evocativo rispetto a quello italiano) porta a tutto il racconto.
Beninteso, sebbene la prosa di Liu Cixin sia nettamente migliore, ha sempre il piccolo vizio di “spiegare” anziché mostrare e raccontare. La densità di dettagli e di nozioni (pseudo-)scientifiche ovviamente mette(rebbe) a dura prova l'intuizione del lettore, che talvolta deve essere aiutato e guidato. Ma ogni tanto ho avuto l'impressione di trovarmi di fronte ad un libro di storia e non ad un romanzo.
Detto questo, “Nella quarta dimensione” è un enorme e fantastico esercizio creativo e immaginifico.
Spesso la fantascienza si pone in un presente alternativo o in un tempo molto lontano rispetto a noi, in cui magari il cosmo è già stato colonizzato ed esiste una qualche forma di stabilità diversa da quella che conosciamo.
Ciò che ho sempre apprezzato di questa serie è l'ambizione di affrontare le premesse più complesse e difficili da immaginare, legate ad un futuro molto prossimo in cui ci viene tolto il tappeto da sotto ai piedi.
Ovviamente molti degli aspetti della fisica e della scienza del racconto non sono né veri né verosimili, ma sanno essere credibili, che è la cosa più importante. Qui, il background da ingegnere dello scrittore aiuta molto.
Tutta la trilogia e in particolare questo libro immaginano in maniera credibile il nostro prossimo passo alla scoperta del mondo oltre la nostra Terra, dai primi contatti con altre civiltà alla sempre più profonda consapevolezza di quanto siamo piccoli, fragili e indifesi.
Il cuore di tutto il racconto conserva anche un'innato desiderio di seguire e osservare il progresso scientifico e tecnologico. Da ingegnere, più volte nel corso della lettura ho desiderato anche io di dormire per qualche secolo e sbirciare avanti nel tempo, con la speranza che almeno la nostra Storia non venga sigillata da sofoni o minacce aliene così terribili.
Il racconto è anche una lunga parabola sull'arroganza dell'essere umano, e dal mio punto di vista Cheng Xin ne è l'esempio più vivido, diventando a tratti quasi un villain.
Il romanzo e in particolare le ultime cento pagine, sono un condensato di rassegnazione e depressione di fronte all'inevitabile fine a cui è destinata la nostra civiltà fin dal controverso scambio di messaggi di Ye Wenjie.
A ritroso, pensare che la Rivoluzione Culturale cinese sia stata il primo sassolino di una valanga durata secoli e che ha portato alla rovina almeno due civiltà su scala cosmica dà il senso dell'ampiezza del respiro di questa storia.
Ecco, il respiro è forse l'aspetto più affascinante di “Memoria del passato della Terra”. Per quanto si focalizzi su una manciata di personaggi, tutto il racconto è coeso, a distanza di anni luce e di secoli.
Ogni balzo temporale è caratterizzato da un punto di vista tecnologico e soprattutto sociologico.
Ogni balzo scientifico è giustificato dalle necessità e dalle emergenze contingenti.
Ogni scoperta si confronta, con una giusta e inevitabile dose di fantasia, con la fisica che conosciamo oggi.
Immaginare con cognizione di causa non solo l'incontro con una civiltà aliena, ma anche il contesto in cui esso avviene è ai miei occhi uno sforzo d'immaginazione veramente immenso.
Immaginare le dinamiche di un universo oscuro, ostile e misterioso e stimare la distanza tecnologica tra noi e il resto della foresta oscura è ancora più difficile.
In questo senso la fiaba di Yun Tianming è forse il momento più alto di tutto il romanzo, perché esplicita la profondità delle capacità creative dello scrittore e congiunge le necessità narrative del racconto con quelle esegetiche del personaggio.
Insomma, questo non era un libro semplice da scrivere e Liu Cixin è riuscito in un piccolo miracolo.
L'imminente adattamento di Netflix è il motivo per cui sono qui (altrimenti non credo avrei mai scoperto questi libri), ma in cuor mio sono convinto che l'animazione sia l'unico modo per rendere veramente giustizia allo scopo e al potere immaginifico di questa storia, oltre alle parole su carta stampata.
Quello che mi rimane, al termine di queste letture, è un grande senso di meraviglia e una sete di scoperta, accompagnata anche dall'amara consapevolezza che “il tempo è la forza più crudele di tutte”.
“Memoria del passato della Terra” è probabilmente una delle mie trilogie preferite.
Sento già ora la necessità di tornare indietro e ricominciare dal primo capitolo per apprezzare fino in fondo la complessità di questa storia.
Nonostante non abbia amato tutti gli aspetti dei tre libri, ciò che mi ha affascinato lo ha fatto profondamente.
“Nella quarta dimensione” è un libro magnifico, che non potrebbe esistere senza i precedenti due ma che eleva tutta la trilogia.
Avevo apprezzato, ma non fino in fondo, “La materia del cosmo” e forse nemmeno questo terzo capitolo può dirsi il mio preferito della serie. “Il problema dei tre corpi”, nonostante una parte finale un po' trascinata e didascalica, sapeva essere travolgente in maniera unica.
Eppure non posso che adorare la coerenza e la compiutezza che “Death's End” (titolo molto più evocativo rispetto a quello italiano) porta a tutto il racconto.
Beninteso, sebbene la prosa di Liu Cixin sia nettamente migliore, ha sempre il piccolo vizio di “spiegare” anziché mostrare e raccontare. La densità di dettagli e di nozioni (pseudo-)scientifiche ovviamente mette(rebbe) a dura prova l'intuizione del lettore, che talvolta deve essere aiutato e guidato. Ma ogni tanto ho avuto l'impressione di trovarmi di fronte ad un libro di storia e non ad un romanzo.
Detto questo, “Nella quarta dimensione” è un enorme e fantastico esercizio creativo e immaginifico.
Spesso la fantascienza si pone in un presente alternativo o in un tempo molto lontano rispetto a noi, in cui magari il cosmo è già stato colonizzato ed esiste una qualche forma di stabilità diversa da quella che conosciamo.
Ciò che ho sempre apprezzato di questa serie è l'ambizione di affrontare le premesse più complesse e difficili da immaginare, legate ad un futuro molto prossimo in cui ci viene tolto il tappeto da sotto ai piedi.
Ovviamente molti degli aspetti della fisica e della scienza del racconto non sono né veri né verosimili, ma sanno essere credibili, che è la cosa più importante. Qui, il background da ingegnere dello scrittore aiuta molto.
Tutta la trilogia e in particolare questo libro immaginano in maniera credibile il nostro prossimo passo alla scoperta del mondo oltre la nostra Terra, dai primi contatti con altre civiltà alla sempre più profonda consapevolezza di quanto siamo piccoli, fragili e indifesi.
Il cuore di tutto il racconto conserva anche un'innato desiderio di seguire e osservare il progresso scientifico e tecnologico. Da ingegnere, più volte nel corso della lettura ho desiderato anche io di dormire per qualche secolo e sbirciare avanti nel tempo, con la speranza che almeno la nostra Storia non venga sigillata da sofoni o minacce aliene così terribili.
Il racconto è anche una lunga parabola sull'arroganza dell'essere umano, e dal mio punto di vista Cheng Xin ne è l'esempio più vivido, diventando a tratti quasi un villain.
Il romanzo e in particolare le ultime cento pagine, sono un condensato di rassegnazione e depressione di fronte all'inevitabile fine a cui è destinata la nostra civiltà fin dal controverso scambio di messaggi di Ye Wenjie.
A ritroso, pensare che la Rivoluzione Culturale cinese sia stata il primo sassolino di una valanga durata secoli e che ha portato alla rovina almeno due civiltà su scala cosmica dà il senso dell'ampiezza del respiro di questa storia.
Ecco, il respiro è forse l'aspetto più affascinante di “Memoria del passato della Terra”. Per quanto si focalizzi su una manciata di personaggi, tutto il racconto è coeso, a distanza di anni luce e di secoli.
Ogni balzo temporale è caratterizzato da un punto di vista tecnologico e soprattutto sociologico.
Ogni balzo scientifico è giustificato dalle necessità e dalle emergenze contingenti.
Ogni scoperta si confronta, con una giusta e inevitabile dose di fantasia, con la fisica che conosciamo oggi.
Immaginare con cognizione di causa non solo l'incontro con una civiltà aliena, ma anche il contesto in cui esso avviene è ai miei occhi uno sforzo d'immaginazione veramente immenso.
Immaginare le dinamiche di un universo oscuro, ostile e misterioso e stimare la distanza tecnologica tra noi e il resto della foresta oscura è ancora più difficile.
In questo senso la fiaba di Yun Tianming è forse il momento più alto di tutto il romanzo, perché esplicita la profondità delle capacità creative dello scrittore e congiunge le necessità narrative del racconto con quelle esegetiche del personaggio.
Insomma, questo non era un libro semplice da scrivere e Liu Cixin è riuscito in un piccolo miracolo.
L'imminente adattamento di Netflix è il motivo per cui sono qui (altrimenti non credo avrei mai scoperto questi libri), ma in cuor mio sono convinto che l'animazione sia l'unico modo per rendere veramente giustizia allo scopo e al potere immaginifico di questa storia, oltre alle parole su carta stampata.
Quello che mi rimane, al termine di queste letture, è un grande senso di meraviglia e una sete di scoperta, accompagnata anche dall'amara consapevolezza che “il tempo è la forza più crudele di tutte”.
“Memoria del passato della Terra” è probabilmente una delle mie trilogie preferite.
Sento già ora la necessità di tornare indietro e ricominciare dal primo capitolo per apprezzare fino in fondo la complessità di questa storia.
Nonostante non abbia amato tutti gli aspetti dei tre libri, ciò che mi ha affascinato lo ha fatto profondamente.
L'aspetto più interessante di questo libro, per me, è la capacità di risvegliare una sete di fantascienza che credevo di aver perduto.
Se passerò le prossime settimane immerso nella lettura del terzo capitolo, nel rewatch di Blade Runner e nella tentazione di iniziare The Expanse, invece di studiare per l'esame di fine agosto, sarà esclusivamente colpa de “La materia del cosmo”.
In merito al romanzo, non nascondo di aver preferito (ampiamente) “Il problema dei tre corpi”, per ritmo, efficacia degli intrighi e respiro creativo del racconto.
Eppure è innegabile la coerenza, ancora prima del senso di soddisfazione, che questo libro raggiunge nel finale.
“La materia del cosmo” richiede pazienza, intanto perché introduce una quantità sterminata di personaggi che rende difficile tenere il filo. E poi perché l'intreccio è enigmatico, soprattutto all'inizio, nel tentativo di preparare il terreno per ciò succede negli ultimi capitoli.
Insomma, ribalta un po' gli aspetti che avevo apprezzato del primo capitolo, che ha un inizio travolgente e oscuro e un finale comunque interessante, ma meno particolare e entusiasmante.
Il cinismo che dilaga e domina buona parte del libro, raccontando di un'umanità rassegnata, disperata, ma anche arrogante e piena di sé, in lotta con se stessa ancora prima che con i Trisolariani e ricca di contraddizioni.
Tutto il finale, da quando la Goccia raggiunge la flotta umana a quando alcune navi fuggono e si distruggono tra loro, è semplicemente straziante.
Mi ha colpito anche la portata, narrativa e tematica, del racconto, che si regge su una riflessione con una certa cognizione di causa circa il contatto con altre civiltà.
Sarebbe stato facile appoggiarsi ai soliti tropi già esplorati dalla fantascienza, e annacquare con superficialità critica.
E invece l'approccio è serio e rigoroso, quasi scientifico da un punto di vista sociologico (per quanto possa capirne io di sociologia).
Insomma, è un buon libro.
Eredita i difetti di scrittura del primo romanzo e non è così divertente da leggere, almeno in senso stretto.
Ogni tanto si perde un po' nell'intenzione di inserire qua e là concetti ingegneristici o informatici senza la dovuta rielaborazione, ma fa parte del gioco.
E contestualizzato nella trilogia, promette una portata ancora più ampia per il gran finale.
L'aspetto più interessante di questo libro, per me, è la capacità di risvegliare una sete di fantascienza che credevo di aver perduto.
Se passerò le prossime settimane immerso nella lettura del terzo capitolo, nel rewatch di Blade Runner e nella tentazione di iniziare The Expanse, invece di studiare per l'esame di fine agosto, sarà esclusivamente colpa de “La materia del cosmo”.
In merito al romanzo, non nascondo di aver preferito (ampiamente) “Il problema dei tre corpi”, per ritmo, efficacia degli intrighi e respiro creativo del racconto.
Eppure è innegabile la coerenza, ancora prima del senso di soddisfazione, che questo libro raggiunge nel finale.
“La materia del cosmo” richiede pazienza, intanto perché introduce una quantità sterminata di personaggi che rende difficile tenere il filo. E poi perché l'intreccio è enigmatico, soprattutto all'inizio, nel tentativo di preparare il terreno per ciò succede negli ultimi capitoli.
Insomma, ribalta un po' gli aspetti che avevo apprezzato del primo capitolo, che ha un inizio travolgente e oscuro e un finale comunque interessante, ma meno particolare e entusiasmante.
Il cinismo che dilaga e domina buona parte del libro, raccontando di un'umanità rassegnata, disperata, ma anche arrogante e piena di sé, in lotta con se stessa ancora prima che con i Trisolariani e ricca di contraddizioni.
Tutto il finale, da quando la Goccia raggiunge la flotta umana a quando alcune navi fuggono e si distruggono tra loro, è semplicemente straziante.
Mi ha colpito anche la portata, narrativa e tematica, del racconto, che si regge su una riflessione con una certa cognizione di causa circa il contatto con altre civiltà.
Sarebbe stato facile appoggiarsi ai soliti tropi già esplorati dalla fantascienza, e annacquare con superficialità critica.
E invece l'approccio è serio e rigoroso, quasi scientifico da un punto di vista sociologico (per quanto possa capirne io di sociologia).
Insomma, è un buon libro.
Eredita i difetti di scrittura del primo romanzo e non è così divertente da leggere, almeno in senso stretto.
Ogni tanto si perde un po' nell'intenzione di inserire qua e là concetti ingegneristici o informatici senza la dovuta rielaborazione, ma fa parte del gioco.
E contestualizzato nella trilogia, promette una portata ancora più ampia per il gran finale.
Ottimo thriller, secondo me anche più bello de “Il Manoscritto”.
Per diversi capitoli ho temuto che ripercorresse fin troppo pedissequamente le vicende del primo romanzo e invece, pur mantenendone la struttura generale, riesce a svincolarsi in maniera intelligente dalle svolte narrative che avevano caratterizzato le vicende di Léane e Vic.
Un po' meno macabro del precedente, almeno superficialmente e almeno fino all'agghiacciante finale, ma comunque terribile e disturbante.
Thilliez è bravissimo a costruire le indagini a forma di labirinto, in cui ogni progresso è una piccola ricerca del percorso corretto in mezzo a tanti vicoli ciechi.
Ogni capitolo sa essere un soddisfacente colpo di scena e la storia è densissima di eventi, complice un ritmo incalzante che tiene incollati fin dalle primissime pagine.
E se da un lato avevo trovato la soluzione finale all'enigma de “Il manoscritto” un po' fantasiosa e anticlimatica, “C'era due volte” è continuo crescendo in cui ogni rivelazione mantiene la tensione e soffia sul fuoco della curiosità.
L'ultimo mistero rimasto irrisolto è dove Poste Italiane abbia perso la mia copia di “Labirinti”.
Ottimo thriller, secondo me anche più bello de “Il Manoscritto”.
Per diversi capitoli ho temuto che ripercorresse fin troppo pedissequamente le vicende del primo romanzo e invece, pur mantenendone la struttura generale, riesce a svincolarsi in maniera intelligente dalle svolte narrative che avevano caratterizzato le vicende di Léane e Vic.
Un po' meno macabro del precedente, almeno superficialmente e almeno fino all'agghiacciante finale, ma comunque terribile e disturbante.
Thilliez è bravissimo a costruire le indagini a forma di labirinto, in cui ogni progresso è una piccola ricerca del percorso corretto in mezzo a tanti vicoli ciechi.
Ogni capitolo sa essere un soddisfacente colpo di scena e la storia è densissima di eventi, complice un ritmo incalzante che tiene incollati fin dalle primissime pagine.
E se da un lato avevo trovato la soluzione finale all'enigma de “Il manoscritto” un po' fantasiosa e anticlimatica, “C'era due volte” è continuo crescendo in cui ogni rivelazione mantiene la tensione e soffia sul fuoco della curiosità.
L'ultimo mistero rimasto irrisolto è dove Poste Italiane abbia perso la mia copia di “Labirinti”.