“Teoria e pratica di ogni cosa” di Marisha Pessl è un libro che richiede un impegno notevole da parte del lettore, data la sua lunghezza.
Uno degli aspetti più distintivi del romanzo è la sua natura citazionistica. Ogni capitolo prende il titolo da un libro classico della letteratura, e il testo stesso è intriso di citazioni che emergono direttamente dalla “vivavoce” della protagonista. Questo approccio conferisce un'atmosfera letteraria e mette in evidenza il carattere colto e raffinato del personaggio principale, Blue.
Proprio Blue è il punto forte della narrazione. Nella cornice di personaggi non particolarmente memorabili, lei si distingue come l'unica interessante e anche la più colta e intelligente. La sua voce narrativa è affascinante e coinvolgente, e ci guida per tutto il tempo attraverso le sue esperienze e le sue riflessioni.
Un'altra figura cardine del romanzo è il padre di Blue, un accademico e professore che la coinvolge nei suoi viaggi attraverso l'America e che cambia spesso cattedra. Questa relazione padre-figlia contribuisce a creare una dinamica interessante e offre uno spunto per esplorare temi legati all'educazione e alla ricerca della conoscenza.
Nonostante le sue qualità, ho trovato il libro un po' sopravvalutato. La sua fama potrebbe essere stata amplificata dal fatto che per un certo periodo non era reperibile nelle librerie, generando un passaparola enorme sui social media. Personalmente, avrei preferito valutarlo in modo più obiettivo.
Inoltre, ho riscontrato un piccolo punto debole nel finale della storia. Dopo un'esperienza di lettura coinvolgente, il finale non è stato all'altezza delle aspettative, lasciandomi con un senso di insoddisfazione. Troppo netta la distinzione tra le prime 500 pagine e le ultime 200. Il cambio di ritmo è stato repentino e eccessivo, rendendo il passaggio da una parte all'altra del romanzo un po' brusco e disorientante.
In conclusione, “Teoria e pratica di ogni cosa” offre un'esperienza di lettura che richiede impegno e attenzione, ma una volta che si accetta il suo stile e ci si affeziona ai personaggi, è una storia coinvolgente seppur non indimenticabile.
“Il libro del sangue” di Matteo Trevisani mischia con grande efficacia fiction e auto-fiction. La biografia di autore e personaggio, si confondono in un gioco di specchi, così il libro racconta di Matteo, scrittore appena diventato padre, ossessionato dagli alberi genealogici e dalla convinzione che la propria famiglia è perseguitata da una specie di maledizione, che fa morire tutti i primogeniti affogati.
Per sfuggire alla maledizione decide di fare un enorme “viaggio nel passato”, affidandosi alla genealogia, disciplina che si occupa dell'origine e della discendenza di famiglie e di stirpi, e facendosi aiutare in questa ricerca da Alvise e Giorgia, padre e figlia, altrettanto ossessionati dalla materia.
Il romanzo ruota intorno all'occulto, è pieno di segreti spesso connessi fra di loro e presenti nel passato. Il modo in cui è scritto (con continui salti temporali) potrebbe disorientare molti ma a me ha dato uno strano effetto di assuefazione, tanto che le 200 pagine sono veramente volate.
Come spesso accade a queste storie, però, non è tanto la trama il senso di tutto, ma il senso che diamo alla storia e alle vicende. Secondo me Trevisani ha scritto un libro molto bello da leggere per un genitore, un padre in particolare. “Il libro del sangue” infatti parla della responsabilità del genitore nei confronti del figlio, delle colpe che si porta addosso pensando di “passare” al proprio figlio i propri difetti, i propri tormenti, le proprie maledizioni, appunto.
Una lettura particolare, forse un po' pomposa, ma di certo originale.
Un importante testo che riassume i “migliori” anni della storia tattica del calcio italiano. Da Sacchi, in poi, Emiliano Battazzi ha riassunto in comodi e ben scritti capitoli l'evoluzione della tattica calcistica nel nostro paese. Si arriva fino alla vittoria della nazionale italiana negli Europei di questa estate.
Un libro ben scritto, scorrevole, che utilizza tecnicismi ma senza essere pesante e ridondante, pieno di spunti per approfondire con gli articoli che lo stesso autore ha citato a fine libro.
Atteso per anni, discusso ancor prima di essere stato pubblicato, è arrivato anche in Italia “Yoga”, l'ultimo romanzo di Emmanuel Carrère, uno dei più rilevanti ed importanti autori del palcoscenico europeo.
“Yoga” è un romanzo autobiografico, che segue più o meno la stessa scia del suo splendido “Vite che non sono la mia” e di “Romanzo russo”, e narra di fatti avvenuti quindi principalmente all'autore.
Tutto il romanzo segue la stessa struttura. Tanti piccoli capitoli che fanno parte di capitoli molto più grandi che parlano di un particolare periodo della vita recente del francese. La prima parte del libro è dedicata alla funzione originaria di questo scritto. Carrère stesso confessa di aver avuto in mente di scrivere un opuscolo, un'opera minore, dedicata allo yoga e alle varie tecniche di meditazione. Per farlo praticamente si “infiltra” in una sorta di comune, un evento lungo 10 giorni, in cui uomini e donne vengono divisi, non sono a contatto con tecnologie e mondo esterno, e devono meditare praticamente tutto il giorno in enormi spazi comuni.
In questa prima parte Carrere parla moltissimo di sé, del motivo per cui si è approcciato alla meditazione, e gli scritti seguono molto il flusso dei suoi pensieri.
Per lunghi tratti ci si chiede dove sia il narratore cinico e realista de “I baffi” o “La settimana bianca”, o il giornalista che scrive un reportage storico incredibilmente ambizioso come in “Limonov” o indaga sul un delitto efferato come in “L'avversario”. L'effetto che potrebbe avere sul lettore, a primo acchito, potrebbe essere di repulsione. Se non si è interessati ai temi le pagine scorrono lentamente e con poco interesse.
Abbandonare il libro dopo le prime canoniche 100 pagine sarebbe però un errore, perché Carrère le usa principalmente per dare un contesto al tutto. Le riflessioni sulla sua breve esperienza di meditazione nel “recinto” della Vipassana nascondono sempre il lato più oscuro e intenso del carattere di questo straordinario autore. Sappiamo, leggendo, che prima o poi succederà qualcosa di strano che farà scoppiare il libro, e quel qualcosa è l'attento alla redazione di Charlie Hedbo.
Carrère viene avvisato dell'attentato da uno degli organizzatori della meditazione di gruppo ed autorizzato ad uscire, per leggere un discorso al funerale di una delle vittime, Bernard Verlhac, amico dell'autore del libro. Uscire fuori dal mondo ovattato e appunto, recintato, del Vipassana, per immergersi nel caos post-attentato crea uno shock nella psiche di Carrère. Per la prima volta dopo 10 anni di vita normale, persino felice, l'autore francese sprofonda velocemente in una terribile depressione, ed è qui che comincia la parte centrale di “Yoga”, qui che torniamo a riconoscere Carrère.
Dal manicomio ad un'isola sperduta della Grecia, seguiamo così l'autore nei meandri della sua mente, leggendo i suoi aneddoti brillanti, riflettendo con lui su alcuni aspetti della vita che prima non riuscivamo a mettere a fuoco con prontezza, ci immergiamo nella storia della sua malattia, ma anche nella storia di una relazione segreta e intensa con una donna, per poi chiudere con un intenso racconto di una sua esperienza su un'isola greca (utilizzata come hotspot), a contatto con i migranti, le loro storie e le crudeltà che hanno affrontato per arrivare in Europa.
“Yoga” non è certo il libro migliore per cominciare ad approfondire le opere di Emmanuel Carrère, ma per chi ha già avuto un'esperienza con i libri dell'autore è un tassello importante per conoscere alcuni aspetti della vita di questo straordinario narratore.
Nelle sue opere Carrère ha messo qualcosa della sua vita e della sua esperienza pian piano, per poi passare direttamente al romanzo autobiografico. Se sentite repulsione verso questo genere allora “Yoga” non sarà di facile lettura, inoltre le vicende editoriali che hanno visto il romanzo al centro di una lite con l'ex moglie dell'autore (e di una censura) lo rendono zoppo in alcuni passi (come ammesso dallo stesso Emmanuel).
Resta però in “Yoga” la straordinaria capacità dell'autore di tenere incollato alle pagine il lettore con la sua prosa brillante e diversa da tutte le altre, con le sue riflessioni argute, e la struttura del romanzo lo rende una piacevole lettura, frammentata ma comunque intensa.
Ho avuto timore a comprarlo, l'ho tenuto in libreria per più di un mese, mi attirava ma avevo paura di cominciarlo
Poi è arrivato il giorno in cui l'ho aperto, e 5 giorni dopo sono qui, dopo averlo finito, sconvolto e attonito
“La città dei vivi” di Nicola Lagioia racconta il delitto Varani con una ricchezza di dettagli infinita, che quasi straborda nell'eccesso. Di certo non mi sono trovato a mio agio con alcune parti del libro, mi sono chiesto spesso il perché si dovesse indugiare così tanto su alcuni aspetti esterni al delitto, perché pubblicare parti della vita di Luca che non c'entrano con tutto questo... Ma in fondo bisogna accettare l'opera per come l'autore l'ha concepita
E poi nello sfondo c'è lei, incontrastata protagonista: Roma. Ma non la città eternamente fatta di luce e arte, ma il suo lato più oscuro e nascosto, quello che molti di noi non conoscono ma che la sta cambiando da dentro, di giorno in giorno
È un libro scritto fin troppo bene, quasi demoniaco nella sua parte centrale, quando si scende nell'abisso dell'analisi dell'efferato delitto e non si risale più.
Un libro pieno di interrogativi, che principalmente rivolgiamo a noi stessi.
Elegia Americana è un completo viaggio nella mente, nelle tradizioni, nella cultura hillbilly e di una parte dell'America che conta - esattamente come la modernissima Silicon Valley, la luminosa New York, l'istituzionale Washington - e ci aiuta a capire molte cose di un paese che, di fatto, in ogni minuto condiziona le nostre vite.
J. D. Vance ha scritto un libro di memorie che è prezioso non solo da un punto di vista saggistica, ma aiuta anche ad indagare alcuni aspetti della nostra vita familiare. Mi è capitato, da italiano del Sud, di ritrovare tanti tick della famiglia di Vance in quella mia (l'ossessiva presenza di zii, nonni e cugini nelle vite di ognuno di noi, il pessimismo perenne e il senso di abbandono nei confronti dello Stato, il filo sempre sottile che congiunge un buon quartiere da un quartiere pessimo) e per questo di prendere qualche minuto in più alla fine di ogni capitolo per riflettere.
RECENSIONE COMPLETA: https://thebookadvisor.it/recensioni/segnalibri/elegia-americana-di-j-d-vance-recensione-libro
Nella notte fra il 18 e il 19 gennaio 2011 a Pornic, una piccola città francese sulla costa della Loira Atlantica, Laetitia Perrais, una giovanissima ragazza, viene rapita ed uccisa. Il fatto di cronaca sconvolge una parte di Francia povera e lontana dalle bellezze della capitale Parigi, o dalle eleganti Lione e Bordeaux.
Jablonka, tuttavia, decide di non seguire il delitto di Laetitia in maniera lineare, parlando solo delle indagini, dei sospettati, del crimine in sé per sé, ma sceglie di andare a ritroso nella vita della giovane assassinata, e della sorella gemella, Jessica, che è ancora in vita.
Continua a leggere la mia recensione su BookAdvisor: https://thebookadvisor.it/recensioni/laetitia-di-ivan-jablonka-recensione-libro/
Una lettura divertente ma non indimenticabile. Il resoconto dei viaggi dell'autore nella California della Silicon Valley, probabilmente la zona più evoluta e moderna del mondo, quella in cui hanno sede Apple, Facebook, Twitter, Uber, LinkedIn e praticamente tutti i social e le realtà che condizionano le nostre vite.
Il libro è diviso per comodi capitoli che raccontano esperienze diverse, sono strapieni di aneddoti e di opinioni dell'autore. Si oscilla facilmente, però, fra un capitolo che parla del fondatore di Uber ad un capitolo molto meno interessante che magari parla degli autobus di San Francisco. A volte ci sono così tanti nomi e così tanti neologismi in una frase che ci si perde e bisogna rileggere, per poi prendere lo smartphone e cercare qualcosa per provare ad orientarsi
Probabilmente Masneri sapeva che avrebbe letto questo libro chi ha una conoscenza media delle realtà tecnologiche moderne, ebbene io che mi sento in questa fascia ho comunque avuto difficoltà.
Una lettura che ho trovato affascinante a tratti, soprattutto per alcune storie che svelano retroscena assurdi sulla nascita di aziende importantissime, soprattutto per come svela la verità dietro la grande patina dorata californiana... ovvero, la California è tutt'altro che un paradiso per Nerd, viverci è quasi impossibile, e pur trovando lavoro rischi di dover poi stare in una roulotte o addirittura in tenda.
Mi aspettavo qualcosa di bello, ma non di così bello. “Il complotto contro l'America” di Philip Roth è stato il mio primo romanzo dell'autore, e credo anche il primo di molti a venire.
Per me un capolavoro inaspettato, un'ucronia incredibilmente realistica in cui si immagina l'America fuori dalla seconda guerra mondiale e con un filonazista come Presidente.
Trovo straordinario il modo in cui l'autore abbia caratterizzato così bene i personaggi e i rapporti che li legano fra di essi. Ha un'immensa maestria nell'essere crudo nella descrizione di tutto quello che pensano, a partire dal protagonista, che in maniera autobiografica prende il suo nome (Philip Roth, appunto), ma secondo me non solo quello.
C'è tanto da apprezzare in questo libro: l'atmosfera cupa di questo quartiere ebreo di Newark che Roth dipinge con una precisione incredibile, il modo in cui ancora l'autore è bravo a collegare e descrivere fatti storici creando delle connessioni perfette fra le vicende familiari e quelle degli USA.
La lezione più grande che, a mio parere, Roth vuole darci con questo romanzo è semplice, ma sempre importante: nessun paese, neanche quello più libero a questo mondo, è completamente salvo dal giogo dell'antisemitismo, del razzismo, dell'odio verso il diverso, il più debole, del sospetto nei confronti della minoranza.
Ho letto questo libro attratto da una breve recensione letta sul web. Il ragazzo che recensiva scriveva: “Lo leggo e lo rileggo perché non mi capacito di quanto sia assurda questa storia”.
Sarà stata la lettura recente di alcuni capolavori di Emmanuel Carrére, o del grande Truman Capote e il suo indimenticabile “A sangue freddo”... ma questo libro non mi ha convinto del tutto.
In effetti si parla di un fatto di cronaca nera veramente avvenuto, si parte subito annunciando che il protagonista del libro morirà (non potrebbe essere altrimenti, visto il titolo del libro), ma per il resto non ho visto niente di sconcertante. Tolti alcuni passi particolarmente crudi che riguardano l'autopsia, il sentimento che più mi ha preso durante l'esperienza di lettura è stata la tristezza.
La tristezza per il fatto che il protagonista fosse un uomo condannato a morte, un deadman walking a tutti gli effetti, e tutti gli abitanti del borgo in cui è ambientata la storia sono a conoscenza di questa tragedia incombente, ma fanno poco o niente per impedirla. La tristezza per il fatto che fosse normale uccidere un uomo per un delitto d'onore, quando sono cresciuto con la convinzione che non ci sia niente di onorevole nell'uccidere qualcuno.
Si arriva alla fine del libro come più o meno si fa lo stesso tragitto la mattina quando si va al lavoro... automaticamente e da automi.
Di certo salvo e conservo con me il modo di scrivere di Marquez, per questo leggerò più avanti qualcosa dell'autore. Ho amato il modo in cui descriveva le sensazioni dei personaggi utilizzando un linguaggio onirico e il suo modo di vedere le questioni sociali del Sudamerica con un passo avanti enorme.
La storia del percorso di crescita, personale e politica, delle due personalità più importanti degli Stati Uniti d'America, qualche settimana dopo il loro insediamento. Francesco è perfetto nella scrittura, il libro si legge nel giro di un paio di giorni, e da una grossa mano ai meno informati a farsi un'idea di chi siano Joe Biden e Kamala Harris. La cosa migliore del libro è il come le loro vite si intreccino con le vicende più importanti degli Stati Uniti dagli anni ‘70 in poi, e quindi la lettura non è mai pesante, perché non sono due noiose biografie messe a confronto, ma due protagonisti di una lunga storia.
Secondo me si legge bene anche come una sorta di sequel del primo, che raccontava pezzi di America e spiegava come gli States fossero arrivati alla presidenza Trump.
Quante volte vi capita di finire di leggere un libro e alla fine dire: “Perché, piuttosto che perder tempo a novità editoriali sconclusionate non l'ho letto prima?”. Nel mio caso “Il buio oltre la siepe” di Harper Lee per me ne è l'esempio più grande.
La storia di una piccola comunità del Sud degli Stati Uniti negli anni ‘30, raccontata dal punto di vista di una bambina e del fratello, che crescono e vivono la loro infanzia fra le fantasticherie sul vicino di casa e i luoghi comuni, le vite degli americani medi.
Il romanzo è secondo me eccezionale nel trattare di temi così scottanti adesso, figuriamoci quando è uscito, ovvero nel 1960, quando mancavano ancora 4 anni all'approvazione del CRA. Viviamo la storia attraverso gli occhi, le azioni e le parole di Scout, la piccola figlia di Atticus, che attraversa l'infanzia affrontando le più grosse tematiche ma anche le più grosse contraddizioni in seno alla storia statunitense.
Dopo qualche capitolo introduttivo, in cui ci si concentra soprattutto su questo famoso “buio oltre la siepe” del vicino, e sul perché non si veda mai nessuno uscire dalla quella casa e socializzare, ci si fonda con strana dolcezza in un processo ai danni di un ragazzo nero, accusato di aver violentato una bianca. L'imputato è difeso dal padre dei ragazzi, l'integerrimo Atticus.
Ho trovato che la parte focale, quella più viva del romanzo, sia proprio quella in cui si discute del caso e come questo si rifletta sulla coscienza della città, ma anche e soprattutto di Scout e Jem.
Alla fine sono così tanti i motivi per cui leggere che faccio persino fatica ad elencarli: ha una trama appassionante e semplice; racconta una storia che ci riguarda e che ci chiama in causa, ed è attraverso le domande infantili di Scout che scaviamo nella nostra anima e nella nostra coscienza; parla del ruolo delle donne nella società; perché parla della perdita dell'innocenza, di quegli episodi che ognuno di noi attraversa nella propria infanzia o adolescenza in cui ci si accorge cosa sia veramente il Mondo.
To Kill a Mockingbird (titolo originale, più calzante) non è il solito romanzo sul razzismo, non è mieloso, non cade in luoghi comuni banali, ma ti sbatte in faccia la realtà di questo male così com'è.
Chiudo dicendo che so che questo è uno di quei libri che tutti pensano di conoscere ma che non tutti hanno letto. Ecco, spero veramente di invogliare alla lettura di questo capolavoro contemporaneo chiunque faccia parte di questa categoria di lettori... lasciate perdere i pregiudizi sui “classici”. Questo libro è NECESSARIO
Mentre nel giugno del ‘78 Vienna si prepara ad assistere alla partita fra Italia ed Austria ai Mondiali argentini, il protagonista del romanzo scopre i luoghi iconici della città con una guida d'eccezione: uno dei più influenti allenatori della storia del calcio, Bela Guttman. Da questa originale premessa parte il racconto della carriera incredibile di Guttman, che si intreccia con quella del padre del protagonista, un giornalista sportivo austriaco.
Ancora una volta l'autore scrive un romanzo imperdibile per chi ama lo sport. Questo verrà apprezzato da chi ama il calcio e conosce anche solo sommariamente la storia di Guttman, e del calcio danubiano a cavallo fra le due guerre mondiali. La figura dell'allenatore ungherese sembra rivivere attraverso le parole di Frusca, e il racconto passa da toni comici a toni tragici senza mai essere eccessivamente ironico, o eccessivamente pesante.
Ho amato il libro perché restituisce la storia di un uomo conosciuto ai più praticamente solo per la famosa “maledizione”, ma che in realtà è stato determinante per lo sviluppo del gioco del calcio in tutto il Mondo (non dimentichiamoci che ha allenato anche in Brasile).
Un piccolo gioiello per tutti gli appassionati.
“A sangue freddo” parla della storia vera di una famiglia trucidata nel mezzo della notte, da due loschi individui, senza alcun apparente motivo. Un delitto che scuote le coscienze di una piccola città del Kansas, un posto in cui si dorme con le porte aperte e ognuno conosce il proprio vicino di casa. Un delitto commesso da due personalità agli antipodi ma che allo stesso tempo incarnano un concetto: la fine del sogno americano.
Un libro crudo, intenso, riflessivo, scritto in maniera divina da una delle più grandi personalità delle letteratura americana, Truman Capote. L'autore di “Colazione da Tiffany” si lasciò assorbire così tanto da quella storia e da quei luoghi, da esserne alla fine intrappolato lui stesso. Un romanzo che venne definito scandaloso, ma che io trovo geniale per il punto di vista che racconta, per come si passa dalla cruda cronaca dei fatti, al fantasioso viaggi degli assassini per il Messico e l'America alla ricerca di un posto nel Mondo, e ancora dal minuzioso racconto della reazione della piccola comunità dell'America rurale al delitto mostruoso, per arrivare fino al processo e alla condanna.
Se vi è piaciuto Carrère, in particolare “L'avversario”, questo libro lo divorate nel giro di una settimana.
Un commovente, a tratti tragico, incredibilmente crudo, affresco della vita di una giovane ragazza di colore, nell'epoca subito seguente all'abolizione della schiavitù. Un viaggio nel sud degli Stati Uniti d'America razzisti, ma anche un viaggio all'interno della cattiveria e della crudeltà dell'essere umano. Credo sia indispensabile, di questi tempi.
È veramente un libro simile ad una biografia, e la vita di Paolo Condò è veramente vicina a quella che ogni aspirante giornalista sportivo sognerebbe. Come corrispondente della Gazzetta Condò ha girato il mondo in lungo e in largo, principalmente per assistere a partite di calcio... così dalle tante storie è nata una splendida “rubrica” che ha tenuto gli appassionati incollati ai suoi tweet durante il lockdown, e poi questo splendido volume che raccoglie 15 storie già raccontate e 15 inedite, correlate da belle foto ed illustrazioni.
È il regalo perfetto per l'appassionato di calcio, si viaggia per tutto il Mondo partendo dagli stadi, raccontando storie che intrecciano aneddoti sportivi, politici e personali. Il modo di scrivere di Condò non è mai pesante ed autoreferenziale, bensì divertente ed appassionato... motivo per il quale il libro si legge in poche ore. Consigliatissimo per chi ama il calcio.
Emmanuel Carrère finirà per essere l'autore che ho letto di più in questo 2020, nonché una delle cose migliori di questo anno orribile. Nel giro di 3 giorni ho divorato “I baffi”, un inquietante e magnetico libro che scrisse nel 1986.
Totalmente distante dallo stile di “Limonov”, qui un po' Hitchcock, un po' Pirandello, l'autore prende spunto da un fatto banalissimo (il protagonista si toglie i baffi, che ha sempre avuto) per far sprofondare il lettore in una spirale di eventi semplicemente incredibile e per conseguentemente indagare sull'animo dell'essere umano, sempre pronto a vedere complotti e congiure dietro l'angolo
Non è il mio preferito di Carrère, ma è sempre d'impatto, è da leggere per le solite domande che ti frullano in testa quando lo leggi. Cos'è la verità? Fino a che punto la menzogna può celarsi? Chi è il protagonista? Chi sono io?
Il finale poi... Beh, perfetto.
☀ L'atmosfera in cui ti fa precipitare fin dalle prima pagine L'estate che sciolse ogni cosa è semplicemente assurda e non lascia scampo. Mi sono sentito letteralmente intrappolato nel caldo di Breathed, e ho divorato ogni singola frase come se fosse l'ultima che stessi leggendo.
L'autrice scrive in maniera veramente particolare, per qualcuno è forse pure troppo arzigogolata, per me è semplicemente perfetta. Ho l'abitudine di sottolineare le frasi che mi piacciono di più... qui ho capito praticamente da subito che sarebbe stato inutile farlo, perché c'era da sottolineare un libro intero!
Si parte con il grosso amo che lancia la trama: il Diavolo viene invitato dal padre della voce narrante in questa piccola città dell'Ohio, e si presenta nella forma di un piccolo ragazzo di colore... da lì in poi si scatenano una serie infinita di eventi che giocano con le nostre sensazioni. È o non è lui veramente il diavolo?
La McDaniel in questo piccolo capolavoro parla di pregiudizi, di come si avvinghino alle anime delle persone (che hanno sempre bisogno di capri espiatori per i loro problemi), di come possano trascinare una comunità come un fiume in piena e infine di come possano portare a tragedie incredibili. Insomma... parla di come il diavolo in fondo sia nascosto dentro ognuno di noi.
“Il potere del cane” non è una lettura leggera, anzi il contrario. L'autore ha un modo di scrivere, asciutto, diretto, a volte crudele, ti entra veramente dentro e ti fa vivere questa immensa lotta contro il “male” in prima persona. Il libro sembra già scritto per essere sceneggiato, ogni vicenda (di finzione, ma evidentemente ispirata a fatti reali) è raccontata con minuziosità, si capisce che Winslow ha studiato e conosce bene la realtà del narco-traffico in Messico e in Colombia ed è bravissimo a raccontarne i retroscena, le ingerenze degli USA, i luoghi in cui si coltivano le droghe, le conseguenze che queste hanno sulle persone.
In questo panorama ogni personaggio che ruota attorno a questa grande guerra è descritto minuziosamente, forse è proprio questo che a volte rende la lettura troppo densa... ma il contraltare è il modo straordinario con cui Winslow scrive le scene d'azione. Veramente da maestro.
“Il potere del cane” è un libro per stomaci forti, un thriller che appassiona e fa riflettere, che mescola la concezione del bene o del male così tanto che alla fine è difficile capire quale dei protagonisti è veramente l'eroe e quale sia il mostro. Anzi, a dir la verità, sembra proprio che non si salvi nessuno.
È stato il mio primo libro di Din Winslow, e credo leggerò gli altri libri dell'autore volentieri, magari dopo una buona pausa... perché “Il potere del cane” lascia veramente il segno.
Quando si legge L'avversario di Carrere è difficile poi esprimere le proprie sensazioni. Ci ho messo due giorni per mettere giù due righe, e da due giorni non tocco libro, proprio perché lascia un solco dentro che è veramente difficile da superare
Secondo me, ci sono due piani in cui si può analizzare e leggere questo libro:
- Quello in cui si assiste al fatto di cronaca semplicemente sconvolgente, esclamando “Ma che cavolo...?” praticamente ogni 10 pagine, ogni volta che la vita di Romand prende una piega sempre più assurda, e che il protagonista si accartoccia sulle sue bugie e sembra vicino al limite... Ma riesce a scamparla in una maniera assurda.
Si conosce già quale sarà il culmine di tutto, ovvero l'assassinio di moglie, figli e genitori e il tentato suicidio, e di pagina in pagina ci si rende conto che questi eventi non sono neanche le cose più pazzesca di questo libro.
- Quello in cui ci si siede con Carrére, comodi su un divano, si empatizza con lui, con i suoi sensi di colpa (per anni ha pensato di non scrivere questo libro per non sembrare uno che sta dalla parte dell'assassino) e ci si lascia cullare dal suo modo di scrivere così peculiare. Io lo definisco “trasparente”. Non nasconde niente dalle sue parole, anzi dietro ogni sillaba palesa sempre qualcosa in più, così, come per “Limonov”, ti ritrovi ad immedesimarti in lui, nella sua ricerca, nelle sue domande, i suoi ragionamenti ti sono chiari, diventano tuoi, oppure li contrasti, perché magari non sei d'accordo con lui.
L'avversario lascia l'amaro in bocca, ma non perché sia un romanzo scadente (anzi, lo considero stupendo) ma perché l'effetto che l'autore ha voluto dare è proprio questo. Non ci sono risposte vere alle domande che ci facciamo fin dalla prima pagina, ma ci sono una marea di riflessioni alle quali Carrere ci accompagna, quasi come un autista di un bus. Ad ogni fermata lui accosta, e dobbiamo decidere noi se scendere o no.
Honigstein ha scritto questa biografia di #Klopp poco prima che il tedesco vincesse i due titoli più importanti della sua carriera, la Champions League nel 2018 e la Premier qualche mese fa. Secondo me è un bene che “Bring the noise” (titolo originale) sia nato quando Klopp era ancora considerato un “meraviglioso perdente”, perché la narrazione non si perde nella naturale celebrazione di una serie di vittorie epocali, piuttosto si concentra sulle due sue esperienze più durature in Germania. Alla fine l'autore ha inserito in questa edizione un capitolo sulla finale di Madrid... chiudendo il cerchio.
Il libro è scritto seguendo lo stile di “Last Dance”, meravigliosa serie tv sui Chicago Bulls di Michael Jordan. Quindi non si comincia dall'infanzia, per poi finire con i nostri giorni, ma si procede per capitoli “sfalsati”, un capitolo sulle origini di Klopp, uno sul Mainz, uno sul Borussia Dortmund e uno sul Liverpool. L'effetto è piacevole, si evitano le tipiche 100 noiosissime pagine che raccontano di infanzie difficile e uomini che si fanno da sé, e va quasi subito al punto. Il filo conduttore non sono solo le vicende sportive della carriera di Klopp, ma anche le confidenze (alcune abbastanza intime) di alcune figure fondamentali del suo passato, dai familiari, ai direttori sportivi che ha avuto, per finire pure con qualche calciatore (Subotic, Gundogan, Henderson, ad esempio).
Si traccia così la storia di un grande allenatore, che prima ha rinnovato (insieme a Ragnick) il calcio tedesco, rialzandolo dal baratro in cui era finito dopo i Mondiali del 2006, prima portando in Bundesliga una stramba squadra come il Mainz, poi riportando alla gloria il Borussia Dortmund (anch'esso vicino al fallimento), dopodiché è sbarcato ad Anfield, per continuare a fare la storia. Manco a dirlo, la parola d'ordine è Gegenpressing, anche se non si parla molto di tattica nel libro (uno dei contro...).
Per chi vuole saperne di più sul passato di Klopp, su qualche passaggio fondamentale della sua carriera pazzesca (è seriamente, SERIAMENTE, partito da zero), è un libro che appassiona e si legge in pochi giorni... ma presuppone che si conosca la materia prima. Mi dispiace che ci sia poco Liverpool, anche se le partite chiave della sua carriera finora sono raccontate...
Ho trovato invece i capitoli sul Mainz i più affascinanti, i più “kloppiani”, probabilmente quelli meno scontati.
Per me è difficile scrivere di questo libro, che non è stato facile da leggere. Ho un rapporto eccezionale con i gialli scandinavi, ed ero sicuro che sarebbe stato una bomba... mi sono ritrovato a chiedermi per circa 200 pagine dove gli autori andassero a parare. “Tre Secondi” sembra essere già scritto per una serie tv, i dialoghi sono brevi, spesso ripetitivi, veloci, si passa da un personaggio all'altro con una rapidità che disorienta, fino a quando non si arriva al momento clou della narrazione, che salva un po' tutto.
Forse con 150/200 pagine in meno sarebbe stato più godibile, di certo il tipo di scrittura è affascinante... la storia è simile a “Prison break” (la nota serie tv), e per questo potrebbe piacere a molti. Io ho dubbi sul fatto di leggere il sequel. Lo consiglio, però, a chi è appassionato di polizieschi e thriller scandinavi, meglio ancora se lo si legge in autunno, con un clima che mi avrebbe aiutato ad immergermi ancora di più nella trama e nelle atmosfere.