Scrittura puntuale, elegante e strepitosa.
Storia di una ironia feroce, con risvolti che soetingolk a rimettere in carreggiata ogni anticipazione appena dopo averla scartata.
Libro che ho divorato, e che mi ha lasciato un’enorme appetito - come fanno le storie ben scritte e magnificamente architettate, pur nella loro semplicità.
Mi sono accostato a Triste, solitario y final sommettendoci forte.
Ora posso ritirare l'assegno.
Della storia di Soriano mi ha convinto tutto, a partire dalla stravaganza di una trama che ammicca all'hard boiled ma che si scopre più raffinata di un semplice viaggio tra botte, crimini, pacchi di sigarette e bicchierini di whisky, fino alle ambientazioni.
Ho letto Triste, solitario y final con la curiosità e l'attenzione che si riservano a quelle storie che distraggono l'occhio dal numero della pagina. Un viaggio narrativo che molto ha a che vedere con l'archetipo poliziesco, cui irrorano spessore due arterie stilistiche: la nostalgia verso tempi e biografie che Hollywood sembra aver masticato, digerito e dimenticato - da Stan Laurel a Charlie Chaplin, passando per John Wayne - e l'umorismo pirandelliano, quel misto di divertimento e compassione che le vicende dei personaggi suscitano in ogni loro fare.
Lo rileggerei altre cento volte.
Nota finale
Non avevo ancora letto nulla delle avventure di Marlowe - lo so, lo so: rimedierò - e incontrarlo col sole alle spalle, in compagnia di un coprotagonista d'eccezione, qual è l'impacciato Soriano, mi ha decisamente predisposto l'appetito.
Uscivo da una manciata di letture che nella blogosfera definiscono Comedy writing. Nel bisogno di tornare a qualcosa di più classico ho ripreso in mano Leblanc, che tempo fa trovai straordinariamente brillante sia per lo stile di scrittura - concreto e scorrevole, ma non per questo banale - sia per l'arguzia delle trame.
Ottima scelta, mi dico ora. Il faraglione cavo mi ha dato esattamente ciò che cercavo: una storia ricca di colpi di scena, non sempre prevedibili, in cui Lupin mostra una volta di più di essere un personaggio completo, non di certo un elemento prestato a favore della struttura narrativa. In questa storia c'è tutto: l'avvilupparsi di un mistero, crimine e delitto, e lo sviluppo delle storie personali dei protagonisti: Lupin e un curioso quanto talentuoso studente, il giovane Beautrelet, la cui inclinazione morale risulta perpendicolare ai diletti del ladro gentiluomo.
Un romanzo gustoso, dall'inizio alla fine.
Neanche il tempo di conoscerlo, ‘sto Toby Peters, che già ci si trova immersi in una rincorsa a perdifiato tra pedinamenti, pericoli e rapporti umani che davvero fatichiamo a chiamare relazioni.
Giocarsi la pelle è quel tipo poliziesco di cui si sente la mancanza una volta finito. Il detective Peters sembra aver sviluppato più attaccamento al pericolo che non alla sua stessa vita. E da questa peculiarità sgorgano inseguimenti e pallottole che fischiano rasenti alle orecchie, e metodi di lavoro non sempre ben visti dalla commissione di revoca delle licenze da investigatore privato.
E che dire poi delle strane frequentazioni di Peters, che nell'irreale realismo della missione arriva addirittura a stringere la mano ad un bizzarro personaggio britannico, di nome Jan Fleming.
Un libro che racchiude di tutto: i ritmi serrati del poliziesco, un detective dai modi davvero originali e uno stile di scrittura asciutto che catapulta il lettore direttamente alle calcagna di Peters. Inutile sperare di uscirne illesi.
Sulle colline chiantigiane della provincia fiorentina la vita scorre placida. Forse ancor di più a Panzano in Chianti, piccolo borgo in cui passanti e residenti lubrificano la routine con qualche bicchiere di vino, la ciccia di Dario della macelleria Cecchini, e il carisma tipico dei fiorentini.
Una cornice perfetta per una vacanza e per diluire gli affanni dell'esistenza. Ma anche per un'inaspettata serie di decessi, che hanno tutta l'aria di avere qualcosa in comune: coinvolgono ciclisti - che la strada li abbia in gloria!, gioirebbe qualcuno - tutti apparentemente appassionati dell'Eroica, una delle più simboliche competizioni ciclistiche italiane.
E se le autorità annaspano nell'assenza di dettagli, indizi e rivelazioni particolari, che dalle indagine sembrano proprio non volerne emergere, saranno gli autoctoni - una squadra di stravaganti e divertenti personaggi capitanati dal Cecchini - a dover contribuire all'onore e alla sicurezza di Panzano.
Il Mistero della Finocchiona a Pedali è un libro piacevole, con una trama ben congeniata, che porta in scena il carisma toscano tra le righe di un giallo umoristico. Ottimo per una lettura di svago, ancor di più in accompagnamento a una bella vacanza sotto l'ombrellone.
Una commedia prestata al giallo.
Divertono i suoi personaggi, mente la trama thriller rimane ad un livello molto superficie - un utile innesco per descrivere rapporti alle volte così concreti da somigliare a pezzi di cronaca, o stralci di intercettazioni carpite al bar.
In questo libro il ritmo narrativo - zeppo di incisi e di subordinate - sfida l'azione e l'indagine, e riesce nell'intento di spingere il lettore ad incuriosirsi alle vite dei personaggi, più che ai fatti che li portano di incontrarsi e a interagire.
L'ho portato sotto l'ombrellone assieme a qualche secchio di radler: connubio perfetto.
Mica facile trovare le parole per rendere l'idea di Favole a orologeria. Volumetto delizioso, fu pubblicato per la prima volta sul finire dell'800. Contiene poco più di un centinaio di favole, piccole delizie con cui Ambrose Bierce mette a soqquadro un'idea molto precisa di moralità - quell'etica puritana dal dito artrosico, poco avvezza alla realtà del dato-di-fatto, e ancora molto incartata nelle credenze (speranze) dell'epoca.
Favole a orologeria è un piccolo scrigno a cui Bierce affida una quantità di composizioni che, per natura, devono contenere un esercizio morale. A volte ben nascosto tra poche, sparute righe.
Non è bene né male; non è elogio né disprezzo; non è obbligo né seduzione: tutto ciò che Bierce propone è uno sguardo disincantato sul mondo - dei furbi, degli svegli, dei malcapitati, dei prepotenti, degli ottusi, dei fortunati, di quelli qualunque e degli unici - raccontato a partire dalle circostanze più disparate.
Una quantità di favole in cui situazioni paradossali (a volte talmente irrazionali da ancorare le radici nel cinismo più dolce) e cartoline metaforiche prendono a sberle, o con robuste carezze, l'ingenuità e l'ipocrisia, senza per questo sacrificare poetica e immaginazione, affilate con un'ironia di rara intelligenza.
È passato qualche tempo dalle letture spasmodiche di Doyle e della Christie. Finiti i romanzi (tutto Holmes e una manciata tra Poirot, Miss Marple e i romanzi corali) la voracità non si era estinta, così mi ero avventato sui racconti.
Un po' di quell'appetito è passato.
Nell'ultimo periodo ho lasciato spazio alle contaminazioni del thriller, stuzzicando il gusto con un po' di noir, qualche cozy mistery, qualche variazione all'italiana e ad alcune parodie nient'affatto male.
Le mani di Mr. Ottermole mi ha subito catapultato in un mondo di dubbi. Il primo tra tutti: cartaceo o digitale? Mi sono lasciato sedurre dall'elegante veste scelta dalla Polillo editore. Azzeccatissima, a mio gusto: finalmente un nuovo colore per il thriller! E in copertina una rappresentazione essenziale, che mette in moto la curiosità senza condizionamenti.
(Nota di merito per l'editore: nella collana I bassotti si trovano delle perle davvero superlative).
Mi gingillo con tuti questi incisi perché il racconto è tremendamente bello ed avvincente. Si legge nel volgere di un sospiro: impossibile staccare l'occhio dalla trama, avviluppata nella nebbia londinese del primo Novecento. Non sono gli omicidi; non sono i sospetti; non sono nemmeno le atmosfere che guidano gli umori e le indagini; sono tutti elementi che la penna di Burke congegna in modo semplice ed efficace, in grado di conquistare anche dei maestri del giallo quali Ellery Queen. È il tono dell'autore che regala qualcosa di speciale, un'allure che pochi altri scrittori hanno saputo conferire avendo a disposizione poco più di una manciata di pagine - Doyle e la Christie, sopra tutti i miei riferimenti.
Ed è in una sera di gennaio come molte altre, in quella Londra nebbiosa e umida, che Mr. Whybrow si stava trascinando verso casa. Ancora poco e sarebbe arrivato a casa, o almeno così pensava, domandandosi se sua moglie gli avrebbe servito, assieme al tè caldo, del merluzzo o forse delle aringhe. E immerso com'era nei suoi pensieri non immaginava di certo che proprio quella notte, poco distante da lui, il destino aveva in serbo un piano differente, per Mr. Whybrow...
Il (mio) primo Rex Stout mi lascia un bel gusto tra le dita. Storia avvincente, in cui Stout miscela alla grande sia l'hard boiled americano sia il giallo deduttivo all'inglese per mezzo dei suoi protagonisti, Archie Goodwin e Nero Wolfe.
Anche grazie a questo espediente, la trama raramente perde di mordente o si impalla in balletti deduttivi troppo astratti o di difficile rappresentazione.
Non vedo l'ora di approcciare altre avventure del duo.
Togliamoci dai piedi gli equivoci: qui non parliamo di un giallo classico né di un noir, tanto meno di un hard-boiled. Abbiamo tra le mani qualcosa di raro, in grado di miscelare trame da thriller con elementi intrisi di humor, personaggi tanto svitati quanto onesti e leali, e una buona dose di inventiva.
Entra il Santo è il secondo libro della serie dedicata a Simon Templar, personaggio che nell'immaginario comune ha l'eleganza di Lupin e l'etica di Robin Hood, e dosi d'ingegno e destrezza fisica che a volte verrebbe quasi da accostarlo a Sherlock Holmes. Brillante e irriverente nei modi di fare, lo ritroviamo in tre deliziose avventure, racconti che, nelle edizioni italiane, introducono al personaggio forse più celebre del genio di Leslie Charteris.
In questo libro c'è un po' di tutto: trame e intrighi tipiche dei gialli - ma di quelli briosi che non sconfinino nei rompicapi deduttivi o si sdilinquiscano nelle vertigini della psiche - e l'azione tipica dei polizieschi, perché sempre di giustizia sociale si tratta, quando il Santo entra in azione, anche se le forze dell'ordine non sempre sono dello stesso avviso.
Il racconto è perfettamente godibile. Lo stile rievoca i ritmi dei polizieschi, innestandoci però personaggi non privi di umorismo. In una parola: divertente.
Alla Scuola dei duri le buone maniere non le insegnano. Ed uno come Chico Pipa nemmeno non ne ha bisogno. Di bourbon, molto bourbon, quello sì che ne abbisogna, e in quantità - se non altro perché l'acqua fa ruggine e non piace a lui e men che meno al suo socio, l'inseparabile, vecchio Greg Scarta.
Due ugole che fanno cantare il crimine, Chico e Greg, anche in quei periodi in cui di avventure proprio non ce n'era bisogno, come in questo agile e rocambolesco racconto, in cui è il pericolo a bussare alla spalla di Chico, fino a quel momento comodamente seduto al Pipistrello con tutta l'intenzione di lasciarsi alle spalle alcuni affanni senza cedere al richiamo dell'investigazione.
Ma quando le cose si fanno stranamente cupe, e quel muscolo che irrora sangue scalpita più del dito sul grilletto, anche l'investigatore più solido, temerario e scanzonato di Pipachico non può resistere al richiamo della verità. Ed eccolo così buttarsi a capofitto rischiando (e buscando) mazzate a destra e manca, collezionando indizi e bernoccoli come palline da tennis, per seppellire i dubbi dell'ispettore Tram, dare a quello sbruffone di Caucciù la dose di calmati a 5 dita che gli si addice, e scoprire cosa c'entra una nota realtà commerciale con un'improvvisa strage di manichini e una signorina bella da perderci il fiato, la testa e forse anche qualche osso.
Sullo sfondo l'Irlanda e tutto ciò che l'IRA ha significato e significa.
In primo piano, le vicende di Dan Starkey, giornalista con un livello di sarcasmo pari soltanto al tenore etilico. Le giornate scorrono placidamente nella tranquilla devastazione, tra la rubrica che l'ha reso famoso, i pub e i dischi. O almeno così era fino all'arrivo di Margaret, studentessa universitaria che trascinerà - involontariamente - il celebre giornalista nel periodo più scalcagnato e disperato che la vita potesse riservargli.
Un libro essenziale per tutti gli amanti del cosiddetto Comedy thriller, dove il fascino etilico di Starkey e la sua irriverente personalità si mescolano alla perfezione ad una trama che non lesina su misteri, botte, crudeltà e ritmi tesi, impreziosita dai migliori cliché irlandesi e da intrighi politici che soffiano sulla suspance.
Come resuscitare il thriller e affogarlo magistralmente nel malto.
Applausi, o Bateman.
Tutti conoscono le gesta di Cristoforo Colombo l'avventuriero, lo scopritore dell'America. In pochi, tuttavia, conoscono Domenico Cristoforo Colombo, amante intraprendente, impavido viaggiatore ed autentico mago dei pronostici - ed è un vero peccato.
In questo piccolo volume, Simili ne tesse quasi un'agiografia, per dare finalmente lustro alla persona che ha regalato al mondo del Quindicesimo secolo ben più di un'emozione - e agli studenti dei nostri giorni oltre una manciata di pagine sui testi scolastici.
Con perizia ed ironica, Massimo Simili restituisce un affresco di un tempo che sembra ormai lontano, fatto di caravelle e di scommesse e pennellato da innesti storici autentici. Nelle pagine di questo volume si ripercorrono eventi reali e documentati e fenomeni personali, fondendo perfettamente il racconto storiografico a quel che, a giudicare dai preziosi reperti che ci riporta il cronista Chiotti Benelux, sono la più divertente approssimazione del motore della Storia.
Spassoso ed istruttivo.
Anche il miglior complotto non può nulla contro la stupidità umana.
Arthur è un ragazzo semplice, forse fin troppo. Ma ha anche un grande cuore, e una missione: mettere a frutto gli anni di studio e le sue teorie sulla Cavendish nana - una particolare varietà di banane.
L'occasione gli si presenta grazie ai Peace corps, che lo spediscono sull'isola di San Marco, dove sotto uno spesso strato (sociale) di negligenza, astuzia e indolenza, una frangia autoctona cova propositi rivoluzionari e paesi esteri hanno mire politiche per nulla celate.
Don Chisciotte, U.S.A. è un divertente romanzo che combina una rete di complotti e di congiure con l'imprevedibilità del destino dei più puri d'animo (benché nient'affatto brillanti, a livello cognitivo), una miscela ben amalgamata di colpi di scena, risatine sotto i baffi e personaggi con cui è facile familiarizzare.
Breve compendio di simpatia. Una graziosa raccolta di racconti conditi dell'umorismo che più contraddistingue Lundini - chi lo conosce sa apprezzarne le massicce dosi di non-senso e la capacità di accogliere l'assurdo come fosse un semplice cappuccino & cornetto.
Ottimo in spiaggia, nei ritagli di tempo e nelle pause da Piketty.
Poco adatto al rafting.
Capire dove inizia lo sberleffo, il cenno satirico e dove invece le pennellate dello Sgargabonzi ritraggono fedelmente vizi, tic e parafilie della società attuale non è semplice, ed è proprio su questo continuum che si sviluppa Confessioni di una coppia scambista al figlio morente.
Una serie di racconti che non lesinano sulla fantasia, quella fantasia un po' pepe e un po' Jung in metropolitana, che pure attingendo a piene mani dal concreto di tutti i giorni: dai capitoli più assurdi a quelli più maledettamente terreni - come a dire, dai racconti più onirici a quelli in cui personaggi reali si prostrano al servizio della narrativa -, ogni riga contiene l'inconfondibile stile dello scrittore, già ampiamente apprezzato in Jocelyn uccide ancora.
Lettura edificante: un buon tonico se letto dopo composizioni narrative classiche; un robusto ricostituente se assunto come inframmezzo di qualche saggio o manuale di divulgazione.
Quattro racconti farciti di humor nero.
Quattro racconti in cui ragionevolezza e follia non si disputano alcunché: semplicemente, coesistono.
Quattro racconti bizzarri eppure mai assurdi o senza scopo.
Quattro logiche sentenze che mettono alla berlina - come ama fare Ambrose Bierce - una morale davvero troppo ingessata perché non se ne possa ridere, anche quando si tinge del nero dei delitti più efferati (se così si può dire), delle proprietà nutrienti del corpo umano, della logica che eccede il raziocinio e di impensabili poteri ipnotici.