Non so bene se sono io o che... di pescare tra i classici e pensare di tirare su solo carpe dorate e ritrovami con copertoni usati. Forse non trovo io il fiume giusto o le mie esche sono andate a male, ma io credo che non c'è niente di peggio che mettersi a leggere un libro pensando di andare sul sicuro e poi ritrovarsi in mano delle alghe puzzolenti.
Il mondo nuovo è stato scritto nel 1932 e beh non è che è poi tanto nuovo nel 2021 e neanche un usato sicuro a dire il vero, più che altro è invecchiato male... Ritorno al mondo nuovo è del 1958 e qui molti spunti ci sono e si capisce che l'autore da il meglio di sé come saggista, ma anche qui quanto scritto, a parte alcune idee di fondo, sono state travolte dalla caduta del comunismo e dall'arrivo di internet che fa sembrare quanto scritto dall'autore sulla televisione e la stampa praticamente appartenente ad un'altra era geologica.
Per tornare al romanzo, si sentono tutti i suoi quasi cent'anni e sembra di aver già letto (e visto) ripetutamente di utopie negative del futuro, dove le masse sono controllate attraverso vari sistemi più o meno originali, con scopi più o meno malvagi (e in ogni caso 1984 o Fahrenheit 451 sono su un altro livello, per citare altri classici da paragone); qui la popolazione non viene tiranneggiata con la repressione e la violenza ma stordita con giochi, soddisfazioni materiali, sesso libero e una droga che ottenebra la mente con sogni fantastici e viaggi mentali, sembra di vedere una sorta di impero romano portato nel futuro.
Una divisione in classi, una popolazione allevata in provette, un predisposizione genetica e un addestramento mentale dalla nascita impartito mediante varie tecnologie che inquadrano le persone a secondo della loro funzione predestinata da un'oligarchia che governa e professa una stabilità demografica dove tutti sono felici (anche nelle caste inferiori perché programmate geneticamente ad accettarlo), tutto molto interessante sembrerebbe... solo che... che la storia e i personaggi sono davvero un disastro totale... i protagonisti mi sembrano recitare una parte (da cani per giunta) dove più che sembrare reali sembrano semplicemente professare e divulgare le idee dell'autore. Oltretutto molti si muovono e pensano (una pagina in un modo e in un'altra in tutt'altro) in maniera incoerente e quasi a caso come se più che essere chi conduce la storia ne siano completamente alieni; ma veniamo al personaggio principale: John, il “Selvaggio”, che viene trovato per caso in una “riserva” di non “civilizzati” e catapultato nella Londra del futuro: pensate un po' si ribellerà e finirà male, caspita che trovata geniale! Un Tarzan del futuro che per lo più cita Shakespeare, puritano e moralista, che manco si toglie lo sfizio di consumare un coito per il piacere almeno dei lettori... macchè giù a flagellarsi la schiena con la frusta a nove code come nel peggior periodo nero del Medioevo (ma perchè?! ma che c'entra?!).
Più che un romanzo, un saggio mascherato, ma soprattutto una noia che dimostra tutti i suoi cent'anni e a mio discapito posso dire che trovo molto più attuali e leggibili che so... Dostoevskij, Tolstoj e Dumas.
Questo è un libro che mi sarebbe tanto, ma proprio tanto, piaciuto leggere una trentina d'anni fa; mi avrebbe fatto impazzire, lo avrei adorato. Ma così non è stato e sebbene l'ho comunque apprezzato anche adesso ovviamente, la mia età di lettore non mi consentono di osannare una storia che però mi sento di consigliare a tutti i giovani lettori.
Mi è piaciuta tantissimo l'idea, la storia e i personaggi... la cultura mitologia degli Dei greci è appassionante e l'autore ne prende a piene mani e la rende masticabile e affascinante a dei ragazzini che non possono che rimanerne entusiasti (personalmente, avendolo letto su un ebook reader ho passato metà del tempo della lettura su Wikipedia a leggerne i miti).
Consiglierei questo libro a tutti i ragazzi, ma io non credo che proseguirò con la lettura della saga, non subito almeno. Purtroppo la mia età anagrafica pesa parecchio sulla mia valutazione: avrei preferito la stessa storia, con personaggi adulti a tinte molto più dark... che ne so una sorta di avventura alla Indiana Jones con una connotazione più da mistery o noir con pennellate da horror per quanto riguardava la discesa negli inferi. Questo sì che mi avrebbe fatto arrivare alle cinque stelle.
Ogni libro che leggo mi don qualcosa e per questo ringrazio Percy per le ore passate su Wikipedia a ripassare o scoprire completamente i miti greci di cui ero all'oscuro.
Classicone che prima o poi si deve leggere, probabilmente presente in moltissime librerie, forse più americane che nostre, visto che Steinbeck è considerato un Manzoni statunitense che viene letto a scuol: “Furore” è quello che per noi sono “I promessi sposi”. E diciamo che sebbene la storia sia completamente diversa, ambientata in epoche distantissime tra loro e con temi completamente dissimili, il polpettone è servito per entrambi.
Steinbeck sa scrivere, su questo non ci piove, ci sono una paio di capitolo inziali (quelli quasi slegati dalla storia narrata) che sarebbero da incorniciare e appendere come sfondi in una libreria... anche i personaggi sono caratterizzati come meglio non si potrebbe chiedere ad un autore di un romanzo; solo che personalmente i componenti della famiglia Joad, in fuga dalla misera dei campi durante la depressione americana del ‘29 e che si troveranno in una miseria e disperazione ancora più grande, non li ho sopportati da subito e più proseguivo con la lettura più diventavano ai miei occhi indisponenti, ignoranti, incomprensibili nel loro modo di pensare e di essere.
La resa quasi giornalistica dei fatti, sebbene romanzata, mi ha ricordato molto per esempio “A sangue freddo” di Capote, solo che qui mi ha annoiato all'inverosimile e invece di sentirmi solidale con la disperazione dei protagonisti mi ha reso ancora più avulso nella storia, per non parlare poi del finale: ho praticamente portato avanti la storia per capire solamente come sarebbe finita, per poi non essere soddisfatto nemmeno in quello.
Interpreto sempre come una mia mancanza personale quando leggo un classico e non riesco a farmelo piacere, sebbene accada di rado, perchè penso sempre che sia io quello che sbaglia, che non ha le basi per capirlo, ma questo libro mi ha veramente deluso, annoiato e in molti tratto infastidito E non ho voglia neanche di stare qui ad analizzarne il perchè. Voglio solo cambiare pagina e alla svelta. La seconda stella è data da quei due capitolo iniziali e dal fatto di essere venuto a conoscenza in una vicenda americana di cui avevo solo sentito parlare e a me la storia è sempre piaciuta.
Di più proprio non riesco, ora qualcosa di veramente leggero per mandare giù questo polpettone.
Avevo questo libro sugli scaffali (virtuali) ormai da moltissimo tempo. La lettura era stata sempre rimandata sebbene la fantascienza mi abbia sempre appassionato, è stato uno dei primi amori insieme al fantasy e mi ricordo intere giornate a leggere Asimov o Tolkien. Con il passare del tempo sono cambiato io, sono cambiati i miei gusti di lettura, ma ogni tanto vado alla ricerca di qualche titolo che mi era sfuggito nelle mie letture giovanili.
L'occasione in questo caso è stato l'aver visto arrivare su Prime Video la serie tv che ha avuto un enorme successo e siccome per mia idiosincrasia non posso vedere serie tv tratte da libri, prima che li abbia letti, ho preso l'ancella al balzo.
In verità ho finito di leggere questo libro già da una settimana e se ne scrivo la mia recensione solo ora già vuol dire qualcosa... che questo libro mi è rimasto un po' qua sul gozzo, cioè non ho avuto quella spinta entusiasmante di venire qui a gridare ai quattro vento “leggetelo tutti!”; ho visto anche il primo episodio della serie... questo è sceso fin quasi alla bocca dello stomaco, insomma tutti e due mi sono ancora un po' indigesti al momento. A dire il vero ora sto leggendo “Furore” e sto guardando “The Americans”, con molto appetito questa volta.
Non so bene come spiegare questo senso di “incomprensione”: la storia si fa anche leggere, i personaggi sono anche ben delineati, il finale se vogliamo è pure carino (ino, ino). Secondo me in tutto manca qualcosa, forse manca proprio la fantascienza per come io la intendo, credo soprattutto che sia stata usata unicamente per far passare dei messaggi sul mondo delle donne (per carità con tutto rispetto), ma appunto la fantascienza è stato il veicolo, più che il contesto. Poi sta di fatto che io personalmente odio le imposizioni, ancor più se hanno una connotazione religiosa, di qualunque tipo sia e queste donne così piegate, sottomesse, mi hanno proprio fatto girare le scatole. A me piacciono i personaggi femminili forti, come sanno essere le donne molto più degli uomini e leggere di un mondo dove tutte quante sono relegate a grembi di bambini e basta, mi ha disturbato parecchio.
Non so forse alla fine mi sono sentito un po' ingannato e per questo il libro non mi è piaciuto molto. Mi è rimasto un po' qui e non riesce ne a scendere ne a venire fuori. Per cui mi sarebbe piaciuto tantissimo scrivere di un bellissimo libro di fantascienza o stare qui a gridare il mio scandalo su tutte queste donne così deturpate nell'animo e schiacciate, ma che ne so non mi viene nulla e ho lì “Furore” sul comodino e “The Americans” sulla tv e così... giro l'angolo e spero in una viaggio migliore.
Quest'anno mi sono posto come obiettivo di ordinare i miei “non letti” per numero di recensioni qui su Goodreads e facendo qualche taglio qua e là cominciare a leggere i libri che sono stati i più recensiti da tutti (a prescindere dalle valutazioni date). Quando in cima alla lista è spuntato il giovane Holden mi sono un po' stupito, credevo di averlo letto anni fa e invece così non è stato, può succedere per quei libri che sono parte della memoria collettiva di tutti.
Devo dire che appena cominciata la lettura mi sono subito reso conto di due particolari: il primo è che sicuramente non lo avevo letto e il secondo è che ha cominciato a salirmi un nervoso, un astio e un'antipatia così forte verso il giovane in questione che sono stato lì lì per rimangiare il mio proposito di inizio anno; la cosa che poi mi lasciava perplesso era anche che non capivo per quale ragione sentivo un'avversione così viscerale per questo giovane protagonista. Poi sono arrivato a circa metà libro abbastanza velocemente in quanto sebbene quanto scritto sopra, il libro scorre alla grande e si ha voglia di andare a leggere dove Salinger va a parare e soprattutto che ne è di Holden.
Il giovane appunto arrivato a metà libro mi lascia di sasso. Dice che odia le autovetture e sarà praticamente tutte le precedenti pagine che odia qualcosa o qualcuno (dunque in apparenza non mi stupisco più che tanto), poi rileggo bene e dice su per giù che: “odio le macchine, piuttosto molto meglio un cavallo per spostarsi, almeno il cavallo è vivo”; SBAM, saranno anni che dico e penso esattamente la stessa frase e a quel punto mi rendo conto che la mia profonda avversione per il protagonista è perchè sostanzialmente Holden e d io siamo la stessa persona: praticamente stavo leggendo di me stesso senza rendermene conto e non è mai bello leggere di te soprattutto quando odi il novanta per cento delle persone e delle cose che ti circondano.
Ma a parte tutto questo bisogna dire che il libro è bello, davvero molto, quei classici che sono un “must read” e mi sembra parecchio inutile consigliarlo visto che essendo in cima alla mia lista di non letti rispetto a tutto il resto della popolazione (v. sopra), sono praticamente uno dei pochi che fino ad ora non lo aveva ancora fatto.
Sono stato molto combattuto sulla votazione da assegnare a questo libro: la storia mi è piaciuta da morire, tragica e drammatica come solo un classico dell'ottocento può essere. I personaggi sono da applausi a scena aperta, Gwynplaine certo, ma che dire di Ursus e anche di Homo? Quanti personaggi secondari sono così meravigliosi da mettere quasi in ombra i primari? E che dire anche di un personaggio oscuro come Barkilphedro? Presente in pochi capitoli, ma che getta un'ombra così cupa sulla storia.
E poi c'è tutto il resto... io che amo così tanto la storia, mi sono perso e lo ammetto annoiato in tutte le pagine e pagine e ancora pagine e pagine di descrizioni della società inglese del tempo, la politica, le sfaccettature della società e tutte le digressioni sulla società civile del tempo: Hugo ha voluto portare un attacco politico all'aristocrazia inglese (questo libro è stato scritto dall'autore mentre si trovava in esilio in Inghilterra).
Un dramma teatrale cupo e fatale che porta all'apogeo nella drammaticità finale, dove sembra non esserci felicità ne speranza per nessuno, partendo da dei primi capitoli che ti catturano immediatamente per poi perdersi (valutazione personale) nel corpo centrale del libro, a parte la meravigliosa descrizione del naufragio in una tempesta di neve di una parte dei protagonisti e riconquistare il lettore nel maestoso finale.
Hugo sa descrivere e connotare nel profondo i personaggi che crea e sa scrivere trame che prende e lascia e riannoda per tutto il libro, descrive così bene il contesto all'interno della quale si muovono che basta chiudere gli occhi per seguire direttamente sulle scene il muoversi della storia. Purtroppo sa descrivere minuziosamente anche la politica e la società del tempo...
In ogni caso nessuna felicità per l'uomo che ride, nessuna felicità per nessuno, solo il mare scuro a chiudere tutto nell'oblio.
Degno finale di questa degna lettura di questo schifoso anno.
Avevo rimandato la lettura di questo libro per parecchio tempo, non sapendo bene cosa aspettarmi vista la tripla interpretazione che gli si poteva dare: saggistica criminale, reportage e noir; non leggo più thriller da molto tempo, perchè infine mi sembravano comunque e sempre la fotocopia più o meno vivida del precedente. La saggistica criminale non era un genere che avevo mai approcciato e diciamo che ad incuriosirmi era appunto questa connotazione di un romanzo di saggistica (dunque basato su fatti reali), ma scritto come un noir.
Non so bene che giudizio dare alla fine: in alcune parti mi ha preso, mi ha interessato, in altre ho fatto un po' di fatica ad andare avanti; la storia è interessante e come quasi sempre accade la realtà sa essere molto più drammatica della finzione, forse quello che rimane distante per il lettore di questi anni è la distanza temporale dei fatti accaduti praticamente settanta anni fa, un mondo davvero troppo distante da noi, soprattutto per un reportage di un delitto, molto semplicemente i due assassini oggi non sarebbero arrivati neanche a pagina venti.
Quello che ho trovato interessante invece è sempre la domanda di fondo e le riflessioni sulla pena di morte, su quanto vale la vita umana per ognuno di noi, sulla nostra moralità nel giudicare il prossimo e infine se qualcuno può veramente toccare Caino. Credo che ognuno di noi ha affrontato mentalmente e moralmente la questione e si è dato le proprie risposte arrivando alle sue conclusioni: personalmente credo che la pena di morte sia un atto disumano quanto il commettere un omicidio, alla fine non vedo differenze se sia un uomo o una donna o lo stato ad ammazzare qualcuno. Ma riflettere su questi argomenti fa sempre bene e credo che questo sia il miglior pregio derivante dalla lettura di questo libro.
Questa edizione contiene i racconti pubblicati con tutte le parti tagliate, omesse e/o cambiate dal suo editor al tempo della prima pubblicazione. Io avevo letto le versioni originali dell'autore pubblicati come “Principianti”, con un lavoro di recupero viene ben raccontato nelle pagine finali del libro, che include tra l'altro le lettere che seguirono tra Carver e Lish (il suo editor).
Raymond Carver morto nel 1988 a soli cinquant'anni è stato uno scrittore, poeta e saggista statunitense.
Fin dalla giovane età si barcamenò tra le più disparate occupazioni, coltivando al tempo stesso una grande passione per la lettura e la scrittura. Carver è stato un maestro della narrativa breve e viene considerato il capostipite del minimalismo letterario americano. Un matrimonio fallito, due figli sfortunati arrivati troppo presto, una lunga battaglia con l'alcol, un'infinità di bancarotte, traslochi, lavori umili, frustrazioni. Per sopravvivere a tutto questo, come vuole la leggenda, il giovane Raymond si chiudeva in garage per cercare di mettere in fila delle storie ben congegnate.
Tutti i suoi racconti hanno per protagonisti individui umili, spesso disperati, che si dibattono e si trascinano tra le difficoltà della vita dell'America di provincia. Con la sua scrittura lineare ma attentamente e finemente cesellata, Carver indirizza il lettore attraverso il grigiore della quotidianità , lasciando intravedere solo alla fine quel poco di poesia che resta nelle piccole cose, nelle piccole vite da lui descritte.
Nell'America dorata che enfatizza con i suoi miti e le sue immagini il benessere, Carver ci presenta nei suoi racconti l'aspetto di un'altra America che è quella dello spreco e dei nuovi poveri. Così i personaggi descritti vivono tutti una sensazione di vuoto e di perdita sia individuale che collettiva che si presenta in modo diverso ma con un comune denominatore che è quello dell'attesa di qualcosa che è in procinto di accadere. Anche gli oggetti che sono all'interno dei racconti assumono significati che vanno al di là di essere dei semplici suppellettili ma acquisiscono delle potenzialità che servono a fare da cornice al disagio interiore dei personaggi: il frigorifero che improvvisamente si rompe, il televisore che sveglia in modo brusco il protagonista o il telefono che squilla in un momento inopportuno, per non parlare delle bottiglie di alcol che sono onnipresenti.
Il collante che tiene insieme tutti i racconti sembra essere Un'atmosfera insoddisfatta, pesante e triste, la passione per la caccia, l'ossessione per l'alcool. La perdita di equilibrio di una situazione che prima era in apparenza stabile. Il quadro che viene dipinto in così poco spazio, soppesando con cura maniacale le parole costruendo un lessico completamente costruito per il realismo è granitico.
Leggendo questi racconti molte volte si ha la sensazione nel finale di essere lasciato in mezzo alla strada, così, d'improvviso a cercare di raccapezzarsi su come siamo finiti in questo modo; forse è anche questo che ha fatto di Carver un punto di riferimento indiscutibile della letteratura americana del Novecento. I suoi libri sono tradotti in tutto il mondo, amati da più di una generazione e a questo punto anche dal sottoscritto che ha pensato bene di recuperare tutti i suoi libri.
Avendo letto tempo fa i racconti originali non riesco a fare un doveroso paragone tra i due testi, mi limito solo a dire che sia l'una che l'altra versione non fanno che esaltare le doti di un autore che ha fatto del minimalismo un genere unico.
Bellissimo volume enorme da collezione che in occasione dei 110 anni dalla fondazione della squadra milanese, ripropone i momenti salienti, i personaggi fondamentali, calciatori, allenatori e presidenti che hanno reso indimenticabili questa cavalcata lunga un secolo. 110 anni memorabili, suddivisi in 11 capitoli (come il numero dei giocatori) che ripercorrono queste straordinarie 11 decadi.
Un librone con tantissime foto inedite che raccontano anni di grandi emozioni (amore, euforia, passione, ma anche dolore, collera, rabbia) che è immancabile per qualsiasi tifoso dal cuore nero e azzurro.
Erano anni che cercavo un libro così! Veramente ben fatto e ben scritto: un saggio sul mondo della formula uno scritto per celebrarne i settant'anni della sua storia dalla nascita che si compiono quest'anno, un libro che si legge come un romanzo avvincente!
Personalmente mi è piaciuta moltissimo la prima parte dove si narrano le vicende delle leggende della formula uno, di pionieri come Fangio ed Ascari che correvano praticamente su delle bare da corsa in sprezzo a qualsiasi pericolo... bellissimi anche gli anni sessanta, settanta ed ottanta, con i campioni come Senna, Lauda, Ickx, che hanno fatto di questo sport una leggenda! Meno gradevoli gli ultimi anni, forse perchè li ho vissuti dal “vivo” o forse perchè da quando come qualsiasi altro sport anche la F1 è diventata un enorme business ha perso il fascino di quei primi anni leggendari.
Il libro è di 1.300 pagine, ma ripeto, si legge davvero come un romanzo di avventura e lo consiglio veramente a tutti gli appassionati di questo magnifico e leggendario sport!
Essendo impegnato in un tomone sulla storia della Formula Uno, mi dedico alla lettura di libretti di poche pagine per staccare ogni tanto, così recupero magari qualche chicca sepolta di cui si ha sempre tempo per leggerla e poi non si riesce mai.
Questo si legge in mezz'oretta ed è la trascrizione di un discorso di Eco nella Columbia University all'indomani della tragedia di Oklahoma (19 aprile 1995): essenzialmente sono quattordici punti per identificare il fascismo, o meglio per riconoscere l'“ur-fascismo” sul nascere e poterlo così fermare.
L'analisi di Eco è come sempre puntuale e disarmante per quanto riesce a farci capire come intorno a noi ci sono molti segnali che indicano che questa ideologia non è mai morta, forse trasformata, ma mai veramente finita.
Qualche rara perla sull'amore per i libri... il resto una noia mortale. Il piacere della lettura messo a decalogo e spiegato, con tanto di esplorazione delle menti degli adolescenti (che ormai saranno padri e madri a loro volta) del perché e del per come si legge o non si legge.
Credo che ognuno legga o meno per ragioni sue, credo soprattutto che l'amore per qualcuno o qualcosa non ha neanche ragione di essere spiegata, tanto meno di scriverci un mini saggio sopra.
Raccolta di racconti, di cui da il più importante e il più bello prende il nome. Gli altri, a parte il secondo, sono più che altro riempitivi e sembra un decrescendo verso l'ultimo, il peggiore della raccolta.
La lotteria ★★★★
Il racconto parte da un tranquillo paese che sembra prepararsi per quella che la scrittrice fa credere sia una festa di campagna... una lotteria. Tutte le famiglie del paese sono chiamate a partecipare e il tutto è regolato da rigide regole. La conclusione che il lettore si aspetta però non arriverà mai, anzi... Il racconto è godibile e alla fine butta un ombra inquietante su tutto.
Lo sposo ★★★
Questo è racconto che coinvolge il lettore in una spasmodica e misteriosa ricerca. Il tutto è abbastanza surreale, ma quello che viene reso benissimo sono l'ansia e gli atteggiamenti della protagonista. Intrigante.
Colloquio ★
Un colloquio con un dottore da parte di una donna che non riesce più a comprendere la realtà che la circonda. Nulla di che.
Il fantoccio ★
Pessimo: due signore in un locale con spettacolo di ventriloquo. Noioso e inconcludente, pathos zero.
Da questo libro è stato tratto il famoso film con protagonisti Anthony Hopkins (Mr Stevens) ed Emma Thompson (Miss Kenton), non ho ancora visto il film, ma le immagini (così come la copertina) non so perchè mi sono note e dunque è stato naturale per la mia mente vestire i protagonisti del libro con i loro panni.
La storia si svolge negli anni Cinquanta, in Inghilterra, più precisamente nelle campagne inglesi del primo dopo guerra. Mr Stevens è l'esatto dipinto dell'immaginario collettivo di un maggiordomo inglese: irreprensibile, perfetto, affidabile e insostituibile. Durante la lettura mi è sovvenuto parecchio anche la serie “Downtown Abbey”. Il protagonista svolge il suo lavoro nella prestigiosa Darlington Hall. Ho scritto lavoro, ma più che altro è la sua vita che non ha confini con il proprio ruolo di maggiordomo, per lui gli anni al servizio dei suoi padroni sono come una missione e un importante contributo alla società, che però sta cambiando inesorabilmente: non è più tempo di Lord con decine di persone come servitù che badano alla magione e alla proprietà terriera; infatti lui si troverà praticamente da solo a servire il suo nuovo padrone, un facoltoso americano, che gli propone per la prima volta nella sua vita, una vacanza per staccare dai propri doveri. Così Mr Stevens decide di sfruttare quei giorni liberi per far visita a Miss Kenton, ora Mrs Benn, una governante che recentemente gli ha scritto una lettera, lui vuole approfittarne per chiederle di riprendere il suo posto.
Comincia così un viaggio verso la Cornovaglia, narrato in prima persona da Mr Stevens, in cui le esperienze del giorno saranno spunto per i molteplici ricordi della vita passata a Darlington Hall, ma sarà soprattutto l'occasione per tirare le file di una vita spesa al servizio del suo padrone e insieme a Miss Kenton ci si renderà presto conto che “quel che resta del giorno” saranno solo occasioni perse e malinconia e probabilmente una vita spesa forse nella speranza e solo quella di aver contribuito in maniera sostanziale ad una vita di una società che oramai non esiste più.
Se dovessi definire questo libro con una sola parola, direi “delicato”. Come un paesaggio inglese durante un tramonto autunnale guardato da una finestra mentre si prende un tè. E forse quello che resta del giorno sarà una nebbiolina sottile e un freddo che sale a ghermire il nostro corpo.
“Le acque del nord” di Ian McGuire è un romanzo che mescola avventura, storia e un tocco di mistero. Ambientato nel XIX secolo, durante l'epoca della caccia alle balene nell'Artico, il libro presenta una narrazione coinvolgente e atmosferica.
La prosa di McGuire è dettagliata e ben curata, consentendo al lettore di immergersi completamente nell'ambientazione selvaggia e impervia dell'Artico. L'autore è in grado di catturare l'essenza di un'epoca passata, esplorando temi come la brutalità dell'industria baleniera, le dinamiche di potere e le lotte per la sopravvivenza.
I personaggi sono complessi e ben sviluppati, con personalità distinte che si scontrano e interagiscono lungo la storia. L'asprezza dell'ambiente in cui si trovano mette alla prova la loro forza e il loro coraggio, ma anche i loro limiti morali. Ciò crea una tensione costante nel romanzo, mantenendo il lettore interessato e desideroso di scoprire come si svilupperanno gli eventi.
Tuttavia, nonostante le qualità positive, alcune parti del romanzo possono risultare lente e prolisse, rallentando il ritmo della narrazione. Inoltre, la trama potrebbe essere più incisiva e avvincente in certi momenti, al fine di mantenere un livello di suspense costante.
In definitiva, “Le acque del nord” è un romanzo che offre un'immersione affascinante nella storia e nell'ambientazione dell'Artico durante l'epoca della caccia alle balene. Sebbene possa presentare alcune lungaggini, nel complesso è una lettura apprezzabile per gli amanti dei romanzi storici e avventurosi.
Ho letto questo romanzo in piena estate (sono un po' indietro con le recensioni) e ancora me lo ricordo distintamente da quanto mi era piaciuto, in fondo non si vince per ben due volte il premio Pulitzer per nulla: nel 2017 con La ferrovia sotterranea e nel 2020, a distanza di tre anni, Colson Whitehead si aggiudica di nuovo il premio Pulitzer per la narrativa con I ragazzi della Nickel.
Come in tutti i suoi romanzi, Whitehead parte sempre da una storia vera: una scuola riformatorio, la Nickel Academy, che è una versione nemmeno poi tanto fittizia della Florida Dozier School for Boys, aperta a inizio ‘900 e chiusa nel 2011. Un luogo di formazione, di avviamento professionale per ragazzi problematici, dove gli studenti erano indottrinati a ricevere un'educazione fisica, morale e intellettuale per essere riformati e recuperati per la comunità.
Il protagonista del romanzo è Elwood Curtis, un ragazzo di colore, cresciuto dalla nonna, che respira le parole e gli insegnamenti di Martin Luther King. Elwood, sogna di frequentare il college in un futuro di pace e di uguaglianza. Ma per errore, un giorno accetta il passaggio da uno sconosciuto su un'auto rubata, e, quando lo sconosciuto viene fermato e arrestato, Elwood finisce in un riformatorio da incubo, la Nickel Academy. La vita all'interno della Nickel è difficile, ma Elwood trova il modo di sopravvivere per non soccombere ai soprusi continui.
È un romanzo potente, duro, cruento in alcuni punti come solo la realtà sa esserlo e la prosa è vibrante, lucida e la storia viene raccontata con una voce impersonale, con un finale che mi ha lasciato davvero piacevolmente impressionato.
Consiglio questo romanzo a tutti, anche per conoscere un pezzo di storia americana che racconta uno dei periodi più bui del razzismo.
Ho giocato a Red Redemption 2 e ultimamente mi sono fatto una scorpacciata dei film di Sergio Leone con il mitico Clint Eastwood e così non avendo mai letto nulla di western ho cominciato a cercare un libro che ne rappresentasse la parte migliore, un potpourri di tutto quello che questo genere ne potesse rappresentare: Lonesome Dove. Quasi all'unanimità questo testo viene definito un classico del western e ha vinto anche il premio pulitzer.
L'inizio è stato lento ed è stato difficile entrare nell'ambientazione e famigliarizzare con i personaggi, forse perchè non avendo letto niente di simile prima non ero abituato al genere, sebbene lo stile di scrittura dell'autore è sembrato subito immediato e semplice, dunque un problema mio non della storia.
Mano a mano che m'inoltravo nelle vaste pianure del West e prendevo confidenza con il mio cavallo nella mente, dall'incespicare sono passato al passo, poi al piccolo galoppo e in men che non si dica mi sono ritrovato a cavalcare a perdifiato e a sparare circondato dagli indiani! I personaggi si sono rilevati molto più complessi nelle storie rispetto ad una prima impressione e anche la storia ha preso sviluppi di trama complessi e interfacciati fra di loro.
La storia narra di un gruppo di personaggi che decide di spostarsi dal Texas al Montana con una mandria di bovini, un viaggio enorme per quei tempi e irto di pericoli. Il viaggio sarà lo spunto per tracciare un conto della vita di ognuno e ci saranno momenti di perdita, di redenzione, rimorsi, amori, gioia e disincanto, tutto scritto benissimo.
E' stata davvero una piacevole lettura che consiglio a tutti, anche ai non appassionati. Dagli amatori dei film di Sergio Leone a quelli della Casa della Prateria.
Di Zerocalcare ne avevo ovviamente sentito parlare, ma non avevo mai letto niente di suo perchè dopo un'adolescenza passata a leggere fumetti, avevo maturato un rifiuto per tutto quello che era disegnato con personaggi che parlavano nelle nuvolette.
Poi seguendo “Propaganda” il programma di Zoro su la7 e avendo ospite fisso durante la quarantena l'autore che portava dei cortometraggi a fumetti del suo vissuto durante questo periodo di lockdown, sono stato folgorato sulla strada per Damasco, anche se a parte le storie bellissime da lui portate quello che veramente mi ha portato a leggere le sue graphic novel è stato proprio Zerocalcare stesso. E' lui che mi ha incuriosito. Mi sembrava un genio folletto disadattato ed essendolo anche io (solo disadattato) mi ha spinto a leggere qualcosa di suo e quando si parte con qualcosa è meglio sempre farlo dall'inizio.
Terza graphic che leggo di fila e anche qui mi è piaciuta un po' meno delle precedenti due “La profezia dell'armadillo” e “Un polpo alla gola”, ma rimane comunque eccellente perchè il protagonista è sempre l'autore stesso con tutti i suoi amici e famigliari come personaggi e racconta il suo vivere con un occhio da genio disadattato appunto che fa sbellicare dalle risate e in più infarcisce il tutto con il mio vissuto comune di quarantenne (cartoni animati, film, videogiochi e musica degli anni ‘80); le situazioni che descrive sono le disavventure del quotidiano, le persone che incontriamo tutti i giorni, ma lo fa in modo irriverente sempre con il suo amico immaginario Armadillo a consigliarlo... beh in verità sono in molti a consigliarlo, tutta una serie di personaggi inventati dalla sua mente che lui invoca a seconda delle situazioni come consiglieri personali.
Davvero una scoperta eccellente le graphic di Zerocalcare, mi ha fatto riavvicinare ai fumetti e poi diciamocelo chi è che non vorrebbe come amico una persona come lui?
Di Zerocalcare ne avevo ovviamente sentito parlare, ma non avevo mai letto niente di suo perchè dopo un'adolescenza passata a leggere fumetti, avevo maturato un rifiuto per tutto quello che era disegnato con personaggi che parlavano nelle nuvolette.
Poi seguendo “Propaganda” il programma di Zoro su la7 e avendo ospite fisso durante la quarantena l'autore che portava dei cortometraggi a fumetti del suo vissuto durante questo periodo di lockdown, sono stato folgorato sulla strada per Damasco, anche se a parte le storie bellissime da lui portate quello che veramente mi ha portato a leggere le sue graphic novel è stato proprio Zerocalcare stesso. E' lui che mi ha incuriosito. Mi sembrava un genio folletto disadattato ed essendolo anche io (solo disadattato) mi ha spinto a leggere qualcosa di suo e quando si parte con qualcosa è meglio sempre farlo dall'inizio.
La graphic mi è piaciuta un po' meno del precedente “La profezia dell'armadillo”, ma rimane comunque eccellente perchè il protagonista è sempre l'autore stesso con tutti i suoi amici e famigliari come personaggi e racconta il suo vivere con un occhio da genio disadattato appunto che fa sbellicare dalle risate e in più infarcisce il tutto con il mio vissuto comune di quarantenne (cartoni animati, film, videogiochi e musica degli anni ‘80); le situazioni che descrive sono le disavventure del quotidiano, le persone che incontriamo tutti i giorni, ma lo fa in modo irriverente sempre con il suo amico immaginario Armadillo a consigliarlo... beh in verità sono in molti a consigliarlo, tutta una serie di personaggi inventati dalla sua mente che lui invoca a seconda delle situazioni come consiglieri personali.
Davvero una scoperta eccellente le graphic di Zerocalcare, mi ha fatto riavvicinare ai fumetti e poi diciamocelo chi è che non vorrebbe come amico una persona come lui?
“Storie della tua vita” di Ted Chiang è una raccolta di racconti di fantascienza che mi ha suscitato reazioni contrastanti. Sebbene il libro sia lodato da molti lettori e critici, personalmente ho dato una valutazione mediocre nei confronti di questa opera.
Un aspetto positivo del libro è la profondità dei temi affrontati. Ted Chiang esplora questioni filosofiche complesse, come il libero arbitrio, la teoria del linguaggio e l'interazione tra scienza e fede. I suoi racconti sono ben ricercati e si basano su premesse interessanti, che offrono spunti di riflessione approfonditi.
Tuttavia, uno dei principali difetti del libro è la sua mancanza di accessibilità. Alcuni racconti sono eccessivamente complessi e astratti, rendendo difficile per il lettore comune comprenderne appieno il significato. La scrittura di Chiang è densa e talvolta eccessivamente tecnica, il che potrebbe alienare i lettori meno esperti di fantascienza o con minori competenze scientifiche.
Inoltre, il tono generale dei racconti può risultare freddo e distante, mancando di una componente emotiva che permetta al lettore di connettersi appieno con i personaggi o le situazioni presentate. Ciò può rendere l'esperienza di lettura piuttosto distante e poco coinvolgente.
In definitiva, “Storie della tua vita” può essere apprezzato dagli amanti della fantascienza più impegnativa e concettuale, ma potrebbe non essere adatto a chi cerca una lettura più accessibile e coinvolgente. La raccolta ha sicuramente i suoi meriti, ma personalmente mi aspettavo un maggiore coinvolgimento emotivo e una maggiore chiarezza nella narrazione.
Di Zerocalcare ne avevo ovviamente sentito parlare, ma non avevo mai letto niente di suo perchè dopo un'adolescenza passata a leggere fumetti, avevo maturato un rifiuto per tutto quello che era disegnato con personaggi che parlavano nelle nuvolette.
Poi seguendo “Propaganda” il programma di Zoro su la7 e avendo ospite fisso durante la quarantena l'autore che portava dei cortometraggi a fumetti del suo vissuto durante questo periodo di lockdown, sono stato folgorato sulla strada per Damasco, anche se a parte le storie bellissime da lui portate quello che veramente mi ha portato a leggere le sue graphic novel è stato proprio Zerocalcare stesso. E' lui che mi ha incuriosito. Mi sembrava un genio folletto disadattato ed essendolo anche io (solo disadattato) mi ha spinto a leggere qualcosa di suo e quando si parte con qualcosa è meglio sempre farlo dall'inizio.
La graphic mi è piaciuta enormemente perchè il protagonista è l'autore stesso con tutti i suoi amici e famigliari come personaggi e racconta il suo vivere con un occhio da genio disadattato appunto che fa sbellicare dalle risate e in più infarcisce il tutto con il mio vissuto comune di quarantenne (cartoni animati, film, videogiochi e musica degli anni ‘80); le situazioni che descrive sono le disavventure del quotidiano, le persone che incontriamo tutti i giorni, ma lo fa in modo irriverente sempre con il suo amico immaginario Armadillo a consigliarlo... beh in verità sono in molti a consigliarlo, tutta una serie di personaggi inventati dalla sua mente che lui invoca a seconda delle situazioni come consiglieri personali.
Davvero una scoperta eccellente le graphic di Zerocalcare, mi ha fatto riavvicinare ai fumetti e poi diciamocelo chi è che non vorrebbe come amico una persona come lui?
Era tipo qualche secolo che dovevo leggere questo libricino e complice la quarantena da Covid e avendo molto più tempo a disposizione in poco meno di una mattinata l'ho iniziato e terminato. Anche se devo dire che la ritrasmissione dei film in questi giorni, che ho riguardato insieme a mia figlia, mi ha fornito quella voglia che è sempre mancata di iniziarlo.
Di per sé non è che sia niente di che, probabilmente la storia migliore, o forse l'unica vera storia è quella dei tre fratelli poi ripresa anche nel film; dunque non giudico tanto il libro come narrazione unica, ma il voto è più che altro dato al fatto di aver avuto ancora una volta l'occasione di entrare nel mondo di Harry Potter che mi ha fatto tornare in quelle ambientazioni che mi avevano fatto sognare così tanto... tanto da essermi ricordato che allora andavo in giro con una maglietta con su scritto “Sapevate che sono un mago?” o di essere andato a mezzanotte a comperare uno degli ultimi libri durante un'apertura speciale alla Mondadori. Ah, per inciso avevo 30 ani circa, eh.
Consigliato ai fan del maghetto.
“Tenebre” di Robert McCammon è un libro straordinario che combina abilmente il genere horror con elementi di thriller e soprannaturale. McCammon dimostra una maestria nella creazione di una storia avvincente e coinvolgente, che tiene il lettore sulle spine fino all'ultima pagina.
Una delle grandi forze di questo romanzo è la caratterizzazione dei personaggi. McCammon dà vita a protagonisti tridimensionali e complessi, ognuno con una storia e una personalità unica. Ciò consente al lettore di sviluppare un legame emotivo con loro e di vivere in prima persona le loro paure e i loro conflitti.
La trama di “Tenebre” è ricca di suspense e colpi di scena, mantenendo un ritmo incalzante che spinge il lettore ad avanzare con ansia per scoprire cosa accadrà successivamente. McCammon mescola abilmente elementi soprannaturali e horror con la realtà, creando un'atmosfera inquietante e claustrofobica che permea tutto il libro.
La scrittura di McCammon è vivida e descrittiva, permettendo al lettore di immergersi completamente nel mondo oscuro e minaccioso che ha creato. Le sue descrizioni sono coinvolgenti e rendono le scene vivide nella mente del lettore.
In definitiva, “Tenebre” è un libro che consiglio vivamente agli amanti dell'horror e del thriller soprannaturale. McCammon offre una storia coinvolgente, personaggi memorabili e una scrittura che cattura l'immaginazione. Preparatevi a essere trasportati in un viaggio emozionante e spaventoso che vi terrà svegli fino a notte fonda.