Esile ma abbastanza significativo: un testamento politico e un'invettiva contro quel boia di Nixon. Tuttavia tra poesia e politica questo testo si ferma più sulla prima, non va a fondo delle questioni pratiche ma si limita alle sensazioni dell'autore su quello che sta succedendo intorno a lui. Quindi come testamento politico non funziona proprio al cento per cento, mentre come poesia è abbastanza riuscita. Purtroppo non posso dare più di un 3++ quasi 4. Invece l'idea dell'eliminazione (politica ahem sia chiaro ahem) di Nixon mi pare la cosa più giusta mai pensata.
Bellissimo libro di Pino Casamassima, autore tra l'altro di quel compendio di conoscenze sulle Brigate Rosse veramente gigante che ho visto in libreria ma che ho avuto paura di acquistare (per le dimensioni!).
Il giornalista intervista in prima persona e, narra con fare da storico laddove le interviste non raccontano, alcuni dei protagonisti più interessanti della formazione rivoluzionaria armata più interessante del nostro paese. Segue una specie di ordine cronologico degli eventi, dato che inizia proprio da Curcio per arrivare alla fine alle Nuove Brigate Rosse che operarono ormai fuori tempo massimo ma al punto più alto del furto di dignità delle classi lavoratrici. Il libro, scritto benissimo, con una capacità di tradurre in lettere le emozioni e le ambientazioni di queste vite che fin ora avevo solo visto fare a Lucarelli in televisione; ci fa guardare dentro alle vite e ci mette di fronte a logiche che fino ad oggi abbiamo interpretato con le nostre personalissime esperienze ma che viste con gli occhi di chi dentro a quelle Brigate ci sono stati appaiono finalmente limpidissime e palesi. Le ragioni degli irriducibili sono in molti casi non solo condivisibili ma pienamente in linea con un percorso che non può essere spazzato via solo “a comando”.
Tra una dichiarazione e l'altra si ricostruiscono tra l'altro anche i nodi più sostanziali del movimento e il lettore ha la possibilità di immedesimarsi in quelle prese di coscienza interna che avvengono quando il livello di conflitto si alza sempre di più, dalle gambizzazioni, agli omicidi dei giudici che stavano processando i leader storici del gruppo, avanti e avanti fino a Moro.
Ultimo motivo per cui mi sento di consigliare caldamente questa lettura è la capacità dell'autore, a mio avviso almeno, di mantenersi super partes, ricordando i morti civili ma non volendo chiudere per questo motivo un dialogo costruttivo (e ricostruttivo) con chi si è fatto carico dei delitti.
L'introduzione si interroga sul termine Irriducibile (chi non ha scelto la strada dell'oblio) mentre la chiosa si interroga sul fine pena (che forse per alcuni neanche arriverà).
Credo che, a questo punto, sia d'uopo comprare il mammuth super mega magnum con la storia completa, ma chissà quando avrò il tempo di leggerlo. Forse in un altra vita.
Quasi cinque stelle, 4+++.
WOW. Ok... Libro completamente assurdo e variegato, sia nelle tesi che come esse sono esposte.
Bisogna chiarire che nonostante il titolo il libro faccia intendere in realtà il tema portante è ben altro: il conformismo e la vanità. Ma poi il discorso si dirama in varie direzioni, alcune di carattere puramente filosofico ma molte più propriamente legate alla sociologia e all'antropologia. Come ho scritto sopra i temi sono tanti e nonostante le poche pagine di cui si compone questo testo in realtà gli argomenti sono trattati con quantità di elucubrazioni tali da sorreggerli in maniera abbastanza convincente anche se a volte troppo sintetizzate.
Fernando Gonzalez era un gran fan dell'individualità, a livelli quasi Stirneriani, e vedeva nei rapporti umani solo vanità cioè la necessità di mostrarsi agli altri. Quindi prende come esempio personaggi autoritari come idoli di questa indivualità, la forza personale che si erge al di sopra delle difficoltà. Uno su tutti Bolívar. Gli accostamenti con antecedenti filosofi sono del tutto azzeccate, però la distinzione fondamentale è l'ottica e il contesto. L'uomo forte, indivualista, per Fernando Gonzalez deve rappresentare un idolo imitabile per la gente ed ecco perché, verso la fine, spunta fuori la teoria politico-sociale del anarco-autoritarismo, che più tardi evolverà nei suoi scritti giornalistici in anarco-totalitarismo. Un leader totale che abolisca le istituzioni che limitano l'autonomia delle persone, una su tutte la scuola (che egli definisce come “buona solo a insegnare le leggi e insegnarci ad ubbidirle”), e garantisca la totale anarchia individualista sotto il suo regno. Più, paradossalmente il supporto per le social democrazie senza rinnegare questo suo anarchismo individualista. Insomma già detto così pare un caos di idee. Lo è. Proprio perché l'autore non si ritrova in nessuna scuola di pensiero convenzionale e ha un opinione fuori dagli schemi su ogni frangente, spesso queste paiono contraddittorie. Il lettore deve fare un po' di sforzo per lasciare ogni considerazione logica da parte e abbandonarsi a pensare all'interno di nuovi paradigmi. Pena non comprendere il nocciolo del pensiero dello scrittore di Envigado. Altra cosa stupefacente è il discorso sulla razza, assolutamente originale per un latino americano nel 1936: la ricerca dell'identità meticcia e nativo colombiana come base di identità comune. Avanti decadi!
Dall'altra parte un amore incondizionato per la dottrina Monroe e gli Stati Uniti, da un lato dipinti come protettori assoluti dell'autonomia sudamericana (quanto si sbagliava!), ma anche odiati perché dall'altro colpevoli di corrompere i governi democratici Colombiani in cambio di risorse naturali. Anche qui contraddittorio. Come già detto, fuori dalle righe. Si ha l'impressione di non sapere che cosa dirà nella pagina seguente, come ribalterà tutto il discorso.
Insomma il libro mi è piaciuto, però ecco, il sapore che mi ha lasciato alla fine, è che rappresenti un po' un Bignami di altri suoi libri più complessi che devo ancora leggere, in vari punti l'autore stesso fa riferimento all'aver scritto alcuni passaggi in altri precedenti libri. La sensazione è che lo scopo fosse piuchealtro approfondire alcune tesi e non tanto esporle e per questo non mi sento di dare un voto alto al tutto, nella speranza di trovare più sostanza nei suoi libri più lunghi e celebri che leggerò in futuro.
Però un 3 e 1/2 non glielo toglie nessuno.
Un abisso intercorre tra questo “Sexo y saxofón” (Sesso e sassofono) e la precedente opera letteraria nadaista che ho letto (“Islanada”). Non a caso Gonzalo Arango è stato il “leader” e ideatore del nadaismo, nonché il membro di maggior successo in termini di copie vendute e riconoscimenti, mentre l'altro niente più che un membro minore.
Questo libro di storie brevi si avvicina moltissimo alla perfezione, o quella che io considero personalmente tale, sia per stile che per contenuti.
Lo stile: asciutto, ironico, ampiamente descrittivo, emotivo, con un tocco suggerito e mai imposto di surrealismo.
Il contenuto varia molto da racconto a racconto ma in generale si può riassumere così: bipolare tra il funereo e il grottesco. In quasi tutti i brani è presente la morte come condizione finale dell'uomo e dell'umanità stessa, a volte prende le caratteristiche di una maschera da “hallowin” (sic), a volte la vicenda è ambientata in un gigantesco palazzo di vetro che altro non è se non il limbo per le giovani anime appena scomparse. Stessa considerazione si può fare però sulla frequenza con cui si fa riferimento all'amore e alla sessualità in questi racconti. Sono in sostanza storie d'amore e di morte, di passione e di tragedia. Quando dico funereo però che non vi venga in mente una depressione pascoliana, in queste pagine si intende un grandissimo attaccamento alla vita e la morte è sempre espressa in funzione di un memento mori, a rafforzare ancora di più lo stupore di essere vivi.
Lo stile è vagamente beat, sì, ma la fama dei nadaisti come dei “beat colombiani” non è del tutto lampante in questo libro in particolare. Piuttosto, come immagini e sensibilità mi ha ricordato di più alcuni dei nostri migliori cantautori dell'epoca d'oro. Ha una voce tutta sua Arango, è innegabile.
In sunto, mi sento di consigliarlo caldamente a tutti. Peccato da noi non sia arrivato, non stonerebbe vicino ad un A.Mutis o a un G.G.Márquez.
Edizione Eafit di altissimo pregio, pubblicato nella collana Otraparte che ha anche pubblicato l'opera completa del filosofo esistenzialista e anarco-totalitarista (non apriamo questa “can of worms” per adesso) Fernando González Ochoa (il “mentore” dichiarato di Gonzalo Arango e del movimento nadaista tutto).
Prima di passare ai voti una precisazione importante: Un commento in spagnolo segnala presenza di maschilismo/machismo. Sono estremamente confuso. Semmai l'opposto. Faccio riferimento al racconto “El diablo nos vio paledicer” in particolare, che vede protagonista con scrittura in prima persona una donna sposata con un ubriacone molesto ma che vive una piccola avventura romantica con un suo amico pittore.
La protagonista in questo caso è scritta in un ottica quanto di più anti-maschilista possibile, è interessata all'arte pittorica, passione che condivide con il suo improvvisato amante, e li seguiamo mentre si innamorano carnalmente sì ma soprattutto su un piano intellettuale, mentre il buzzurro e assente uomo che ha sposato è dipinto in una luce assolutamente negativa. Delle due mi sembra proprio una critica al machismo questa, come altro definire un elogio alla sensibilità nelle menti affini?
O prendiamo per esempio “Soledad bajo al sol” che mostra la chiusura mentale del piccolo pueblo nel quale arriva una donna considerata libertina e che finisce con lei uccisa a sassate. Impattante, sicuro, ma descrivere un fatto non significa per forza esserne d'accordo. Dovrebbe essere lampante che il cattivo è il pueblo di retrogadi bigotti e non la vittima. Non tutto deve essere spiegato con la morale, gente, siete ancora in grado di interpretare con la vostra testa, no?
Considerato poi che questo libro è stato scritto in Colombia, paese che notoriamente in passato normalizzava il machismo (e lo fa ancora anche se in maniera più blanda), e che è stato scritto nel 1963 (!!!) in piena dittatura Rojista o Pinillista che dir si voglia, io mi sento di lodare l'apertura mentale dell'autore invece che condannarlo (???).
Comunque, immagini forti e non proprio velati riferimenti allo stupro ci sono. Soprattutto nel “Los muertos no toman té” che tra l'altro è raccontato dal punto di vista dell'autore stesso, che dice di star valutando l'intenzione di “violare” (aka violentare) la donzella con cui si trova. Ecco preso così sarebbe imperdonabile. Il fatto è che prenderlo così non considera il contesto.
Il racconto è la rappresentazione del nichilismo puro, parla proprio di come l'animo umano svuotato di tutto cerca solo la violenza e l'eccesso (approfondirò nella lista sotto) e l'autore si dipinge da solo come privo di qualsiasi volontà di continuare a vivere, vuole solo buttarsi disperatamente verso la morte. E' dark, è tragico, è nichilista. Avete mai parlato con una persona depressa ma proprio depressa depressa? Ecco, anche in questo caso il contesto annulla l'ipotesi di machismo.
Voto complessivo: 5 su 5 (voto che non regalo a tutti; anzi credo di averlo dato solo a Zang Tuum Tumb di F.T.Marinetti, sinora)
Voto ai singoli racconti:
-La senora Yonosé 4+/5
Bella storia che fa il suo porco lavoro come introduzione del tutto, sono presentati i due temi principi dell'opera l'amore e la morte. E' una cavalcata notturna con sfondo Halloween e coinvolge per il mistero dell'identità della donna. Finale forse non proprio brillante però i dialoghi danno una gran forza al racconto. Ne esci che praticamente ti senti anche tu mezzo ubriaco ad una festa, una bella sensazione tutto sommato.
-Soledad bajo al sol 5-/5
Una storia molto bella che si regge tutta delle minuziose ma allo stesso tempo minimali descrizioni di un “pueblo” come tanti, conservatore e bigotto, e dei dialoghi rubati tra la gente. Nichilista e crudo ad una lettura superficiale ma che scavando un'po mostra tutta l'incredibile empatia dell'autore.
-Muerte no sea mujer 3.5/5
Uno dei racconti più brutti del libro e comunque molto migliori di gran parte dei racconti brevi che si vedono in giro. Le descrizioni si fanno un po' troppo prolisse e volutamente “poetiche”. Forse anche l'argomento non proprio originale mi fa dire che questo non è all'altezza del resto.
-Yo recojo mi cadaver 5/5
Dopo uno dei raccconti peggiori ecco quello che a mio parere è il migliore. Trama semplicissima. Gonzalo/il protagonista muore, esce dal suo corpo come anima e vede se stesso morto, cerca di risolvere la cosa avvicinandosi ad una donna per baciarla con la speranza di tornare in vita e poi il resto continua da lì. Qui la storia si tinge di un certo ermetismo ma soprattutto si colora di esistenzialismo. Gonzalo Arango da il meglio di se nel descrivere le sensazioni immaginarie di se stesso incorporeo, il proprio attaccamento alla vita e la meschinità del destino.
Poi, assolutamente degno di nota il fatto che questa storia vede l'autore morire in un incidente d'auto e poi egli se ne andò prematuramente proprio in quel modo.
-Un centavo de nada 5/5
Secondo capolavoro di fila, solo leggermente più blando del precendete. L'autore protagonista cerca di vendere il suo libro in un piccolo negozietto di quartiere ad un negoziante a cui la poesia non interessa niente. E' una sorta di auto-analisi e in un certo senso anche un celato manifesto della propria poetica. E questo fa pure molta simpatia (quasi si finisce a ridere per il modo e le immagini vivaci e tipicamente colombiane che descrive).
-Batallon Antitanque 5/5
Terzo capolavoro di fila, un gradino sotto “Yo recojo mi cadaver” ma sopra “un centavo de nada”. Qui si ride, si ride forte. Ma ci si fa anche prendere, come un pugno nello stomaco, dalla piccola tragedia esistenzialista esposta. E' un racconto contro la guerra, in sintesi, ma soprattutto sulla tragedia che tanti in Colombia hanno vissuto e purtroppo continuano a vivere ovvero la guerra civile. Dover andare a combattere persone del tuo stesso paese, e che nel caso di Gonzalo Arango come ci espone qui, non hanno neanche idee così diverse dalle tue.
E allora ti identifichi in quella persona dall'altro lato, similarmente a quanto cantava De André nella Guerra di Piero.
-Los amantes del ascensor 4.5/5
Minuscola storia che fa un po' da bridge tra due storie ben pesanti nel loro contenuto. Questa è davvero kafkiana (non a caso la quinta parola del primo rigo è proprio “kafkiano”). Non rivelerò niente di più, perché è davvero corta.
-El diablo nos vio palidecer 4-/5
Una storia d'amore bella ma non eccezionale.
-El pasajero de las once 4/5
Bella ma forse aggiungere un po' di pagine a questa non avrebbe guastato. La cosa più interessante è come in questa, similmente alla primissima “La senora Yonosé”, l'atmosfera quasi funerea e notturna delle prime ore del mattino invada completamente la città con un immagine così vivida e visuale che sembra quasi di entrarci in quella specifica notte.
-Diario de la eternidad 4/5
Lunga ma soddifacente storia che questa volta non vede il nostro come protagonista, ma invece una donna borghese. E subito viene da sospettare che questa possa venir dipinta nella peggior luce possibile visto la tendenza, insomma, non proprio pro-borghesia del nostro. Invece no. Bella costruzione a tutto tondo della mentalità di questa protagonista che semplicemente ci dice cosa pensa e quali sono le sue paure nel bel mezzo della crisi dei missili cubani...
-Para jotas 3.5/5
Ok sarò sincero questa è stupefacente per la maniera in cui è scritto ma non è tremendamente interessante per quel che racconta. Tuttavia è stupefacente che si possa parlare di femminicidio con tanta lucidità e empatia senza cadere nella morale, invece nascondendo e lasciando irrisolta la posizione dell'autore. Infatti il finale troncato (mozzo, direi) è probabilmente il punto forte di questo racconto.
-La luna y el teniente 4+/5
Questa mi ha dato una fortissima tristezza. Non l'avrebbe fatto se non fosse stato per la tecnica di raccontare i due punti di vista in maniera alternata. Non abusandone, come fanno molti scrittori, ma per aumentare la tensione e la suspance, laddove c'è, e amplificare la tristezza dell'eventuale risoluzione. Trama: una donna aspetta suo marito. E se lui avesse un altra? No assolutamente no! O forse sì? etc.
-Dios no se aburre los domingos 4/5
Tradotto sarebbe “Dio non si annoia le domeniche”. Racconto quasi socio-antropologico. L'autore entra in una chiesa, quello che gli si para davanti, una normale messa, gli pare bizzarro e straordinario. Sono d'accordo con lui, è certamente una visione bizzarra.
-Café y confuson 4+/5
Bel racconto sulla gelosia e sull'altruismo disinteressato. Notevole la capacità ancora una volta di auto-analizzare con non poco coraggio il proprio atteggiamento bohemien e nichilista. Parla anche della vacuità dei rapporti umani, specie quelli amorosi, ma con toni a tratti poetici/surreali a tratti cinici. Un bel mix che funziona bene, a mio parere.
-Los muertos no toman té 4/5
Ok ok decisamente il racconto più dark. Anche il più difficile da digerire. E' un racconto sulla depressione e sull'autolesionismo, anche se questo non viene mai spiegato a chiare lettere ma solo implicitamente. Assolutamente nichilista. Da contorcere le budella anche al più tenace e temerario lettore.
-El aburrimiento 4/5
Racconto che si avvicina in un certo senso alle tematiche di Sartre dell'Erostrato. Però in una chiave molto più cinica. L'originalità sta che il pazzo con la rivoltella, che decide di compiere il massacro, è una persona normalissima e che, nel clima di violenza perenne della Colombia di quel tempo, neanche la polizia sia interessata a fermarlo, anzi questi proprio non notano nessun problema nel suo sparare a casaccio, come non lo nota nessun altro né lui stesso. La violenza che porta all'insensibilità totale, ben rappresentata. Stile narrativo non proprio da cinque stelle qui, ma neanche da buttar via.
-Estoy sin cigarillos y sin ti 4-/5
Altro racconto cortissimo, microscopico, 3 facciate in tutto. Anche in questo caso utile per pulirsi il palato. Niente di eclatante, però funerea e tristissima.
-Cali, aparta de mi este caliz 5-/5
In un certo senso una lettera d'amore alla bellissima città di Cali e al suo pungente calore afoso. Racconto molto diverso dagli altri, estremamente goliardico e libertino, scritto sotto forma di diario, e probabilmente (anche alla luce del finale) il più sincero di tutti. Anche il più post-moderno di tutti. Appaiono gli altri nadaisti e in ogni pagina ci sono numerosissimi riferimenti a opere altrui, libri musica e film. Il già citato finale poi è meta-testuale. Quindi sì, post-moderno. Estremamente interessante, erotico, goliardico, romantico e in generale summa e compimento di tutti quelli che lo hanno preceduto. Chiusura in grande stile che in qualche modo si ricollega al primissimo racconto.
L'epopea di Gilgamesh si è rivelata molto diversa da come me l'immaginavo. Io, forse con troppa naif-ità mi aspettavo un'impresa eroica stile epica greca. Invece il nostro seppure semidio si comporta tutt'altro che da tale. È un anti-eroe, che fallisce e quando non lo fa è solo grazie all'appoggio suo fedele amico Enkidu. Gilgamesh è un semidio che è ossessionato dall'idea di morire dimenticato, e questo è il suo unico successo: ancora oggi parliamo e leggiamo di lui. La cosa più affascinante, che per me è rappresentativa dell'originalità di questo racconto, è la struttura anti-climax del tutto. Ogni volta che ci si aspetta una sopraffazione di Gilgamesh sulle avversità del fato, ecco invece che la narrazione vira verso conclusioni veramente inaspettate. L'esempio più eclatante è alla sua prima prova di forza contro il guardiano della foresta. Dopo pagine e pagine di un viaggio il nostro è di fronte alla bestia e... si addormenta. Ho riso per 5 minuti netti. Ma a ben pensarci... chi non lo farebbe, semidio o no, dopo giorni e giorni di viaggio?!
Altro aspetto assolutamente inaspettato per me è stato quello della cattiveria degli dei, della loro puerile isteria, in questo ricorda molto il Dio dell'antico testamento, che agisce più per ripicca che per altro, come agiscono per ripicca anche questi “Dei vicini”. Anche da questo punto di vista il testo è assolutamente affascinante, l'impossibilità del genere umano di comprendere l'atteggiamento ermetico del divino.
Valutazione 4+
Molto più volgare di quanto me lo ricordassi dagli studi superiori: questo è positivo.
Avantissimo già allora, ancora avanti adesso. Forse un giorno arriveremo al punto di dire “guarda quanto erano arretrati questi che dovevano ancora lottare per la parità dei sessi”. Speriamo che quel giorno sia vicino.
Ho letto qualche frammento degli altri libri di questo stesso autore ma soprattutto ho letto estensivamente i suoi articoli socio-politici che scriveva per vari quotidiani. Necessariamente e inevitabilmente ho deciso di darmi l'impegno di leggere i suoi libri per intero partendo dal primo che pubblicò . Non fatevi trarre in inganno dal titolo: “Pensieri di un vecchio” Gonzalez Ochoa l'ha terminato a 21 anni.
Le idee contenute in questo diario filosofico sono a forma di aneddoti o per meglio dire di parabole e sono raccontate come se il nostro le ricevesse. Insomma ricorda molto un certo tipo di filosofia orientale da questo punto di vista. E le idee non sono neanche male. Però si nota subito l'età dell'autore, è una filosofia acerba ancora molto illuministica/romantica e molto distante da quelle cose che ho letto di suo molto posteriori. Insomma la ricerca dell'energia interiore come fonte vitale e la sua concezione politica di anarco totalitarismo, pensieri di cui scriverà più avanti, sono ancora all'orizzonte anzi forse si può proprio sostenere che qui non ce n'è traccia. Ecco, se avessi una macchina del tempo io questo mi autoconsiglierei di saltarlo e di passare al successivo, ma d'altronde non è neanche stata una lettura abominevole, quindi... Insomma il problema è proprio che non mi ha fatto particolarmente né caldo né freddo.
Tre stelle appena appena per questo libro che contiene tre apocalissi gnostiche. Si badi bene che qui Apocalissi assume il suo significato originale di Rivelazione e non di giorno del giudizio. Si parte con quella di Adamo che è praticamente una Genesi ma con meno nomi. Noiosissima. La seguente di Pietro è semplicemente un attacco verso chi non accetta o condivide il pensiero gnostico, in questo mi è sembrato un po' il “Che Fare?” di Lenin, per quanto questo possa sembrare paradossale, eccetto che da una parte si da contro lo spontaneismo dell'avanguardia proletaria e i socialdemocratici o presunti tali, e l'altra contro il clero e i persecutori cristiani o presunti tali.
Abbiamo poi Giacomo che è più o meno come leggere le Lettere della bibbia “regolare” e infine l'unico, e il più breve, testo che fa salvare tutta l'impresa editoriale: Paolo. Paolo è veramente lisergico e narra di un esperienza trascendentale di ascendenza al cielo con angeli che frustano i peccatori e lui che chiede di salire sempre più in su confrontarsi pure con il Demiurgo e non fermandosi neanche davanti a lui. C'è un abisso nella qualità dei testi tra questo ultimo e il soporifero primo.
Allora perché punteggio sufficiente? Perché elogio l'idea di Adelphi di proporre questi testi con commento adeguato e pertinente. I testi stessi mi hanno lasciato abbastanza deluso ma probabilmente per fare una ricerca sull'argomento senza andare a scovare le costosissime copie magnum dei testi integrali gnostici o addirittura le versioni in lingua originale, questo può essere un materiale utile. A chi lo vuol leggere per passare il tempo, invece, consiglio di rivolgersi altrove, verso qualcosa che offra più intrattenimento, o anche solamente agli altri testi gnostici i cosiddetti “vangeli gnostici” che sono realmente più interessanti.
3 stelle appena appena.
Breve ma incisivo, come la maggior parte della collana ArtDossier, ma, al contrario degli altri della stessa collana, molto più focalizzato sull'aspetto antropologico e etnologico che quello puramente artistico. Può essere una buona introduzione per chi veramente ne sa pochino o pochissimo del contesto di quegli anni del boom del primitivismo. Io già conoscevo tutte le informazioni presentate nel volumetto, ma dal momento che non sto valutando la mia conoscenza ma il dossier in sé devo ammettere che quello è ben curato e fa il suo lavoro con mestiere!
Testo tra i primissimi (e perciò considerato minore) di Philip K Dick. Immaturo lo stile, confuso lo svolgersi della vicenda, troppa carne al fuoco. Il colpo di scena è buono, ma non riesce a reggere un romanzo che nella sua totalità è poco più che scadente.
Avesse virato di più sulla fantapolitica, a discapito dell'azione, avrebbe sfruttato di più la potenzialità della premessa “il presidente/dittatura viene scelto alla lotteria”, ma così com'è funziona giusto come lettura per chi vuole completare la collezione di libri di Dick e non si rivela troppo avvincente. 2 stelle.
Stavo scrivendo una lunga recensione dettagliata di questo libro quando mi si è spento il cellulare (dal quale la stavo scrivendo). Quindi eccovi la versione assolutamente sintetizzata del perché del mio voto:
1-svariate inesattezze storiche (Fiume impresa fascista quando?)
2-si compone completamente di aneddoti inutili per l'analisi storica
3-non fa ridere (e pare di capire che quello fosse lo scopo principale del tutto)
4-le fonti sono sostituite da una “bibliografia” di dubbia credibilità storiografica
5-assolutamente anglocentrico, quando non si parla di esploratori o dominion inglesi e americani (che occupano moltissimo spazio già di per sé) si parla dei paesi dal punto di vista di personaggi inglesi del periodo. Per esempio l'assurdo riferimento alla popolarità di Garibaldi in Inghilterra senza dar alcun cenno all'Italia.
6-prezzo oltraggioso per la quantità di contenuto (grazie al cielo io non ho pagato un centesimo per leggerlo)
7-svariati errori di stampa
2 stelle appena appena.
Riposa in pace recensione originale (un giorno sarai vendicata)
Sono rimasto piuttosto deluso, per quanto trovi interessante il punto di vista di molti anprim e per quanto provo altrettanto interesse per argomentazioni critiche sociologico/antropologiche, dalla pesantezza della scrittura di Zerzan. Il linguaggio tecnico non è neanche il problema principale, anche se non favorisce la scorrevolezza, quanto invece lo è la assoluta indisponibilità di approfondire le citazioni filosofiche buttate qui e là. Le tesi le ho apprezzate per la maggior parte, a tratti l'autore prende posizioni un po' campate in aria, ma in tutta sincerità questo non accade abbastanza spesso da diventare un problema: il lavoro di ricerca è solido.
Nel complesso è stata una lettura difficoltosa da digerire che credo non ripeterò però che mi ha lasciato qualcosa soprattutto nel capitolo che parla del tempo che a mio parere è il più interessante.
3 stelle appena appena.
La letteratura colombiana ha sapori, odori, immagini che, almeno al sottoscritto, appaiono più potenti rispetto alle stesse presenti nella letteratura di ogni altro paese al mondo. È un fenomeno strano, a pensarci bene: sarà sicuramente il fatto che io la vivo tutti i giorni, la Colombia, con l'esperienza giornaliera della ricerca dell'essenza di questo paese, nel tentativo di capirne tutti i segreti nascosti; sarà l'incanto dei paesaggi stessi; sarà la capacità degli scrittori di qui di scegliere le parole giuste...
Sarà quel che sarà ma se oltre alla cocaina la Colombia è famosa per la letteratura quanto meno significa che devono essere altrettanto capaci a farla.
Questa raccolta di Mutis è un pourpurri delle sue poesie migliori e, seppure il livello sia altalenante, dove brilla lo fa davvero.
Non so neanche da dove partire a descriverlo lo stile di Mutis, quindi butterò aggettivi a caso senza pensarci troppo: astratto, metafisico, panistico/naturalistico, a tratti anacronistico, preciso, olistico, pessimistico, epico (costanti riferimenti a battaglie e guerre) e simbolista. A tratti veramente un Montale colombiano, si appropria dello strumento del Correlativo Oggettivo e lo ripropone con brillante savouir faire.
Tutto esiste fuori dal tempo e dentro ad un constante stato di superposizione: l'ussaro che vive nel mondo contemporaneo, la giovinezza che è raccontata come se accaduta sia tantissimo tempo fa che proprio ora, le grandi battaglie che sono sempre nel passato talmente remoto da divenire leggendario.
E poi ci sono le immagini, corredate di sapori e odori, che ho elogiato all'inizio: c'è il profumo del caffè, la pioggia dei parami, l'odore della giungla.
A queste immagini nazionali Mutis associa una sorta di global village immaginario, spostando se stesso in altri paesi e nazionalizzando i personaggi esteri. E allora la Colombia diventa tutto il mondo e tutto il mondo diventa la Colombia. Mi ricorda quell'intervista di Giovanni Lindo Ferretti quando disse “per noi il centro del mondo era il medioriente e Reggio”, o qualcosa di molto simile. Ecco per Mutis il centro del mondo è la sua regione e tutto il resto del mondo. Le due cose di compenetrano a tal punto che non si riesce più a distinguere una dall'altra.
Che altro dire?
Ho detto abbastanza.
Ogni tanto leggo alcune di queste poesie a mia moglie.
9/10
Ok, questo è probabilmente uno dei libri più strani in circolazione. Non perché sia indecifrabile come il Voynich Manuscript, né perché sia particolarmente meta-letterario o post-moderno, tantomeno è particolarmente sperimentale in sé. Ma, già a partire dalla copertina iniziano le domande. La prima: perché non c'è un riassunto, uno straccio di trama, o una presentazione dell'autore? Non c'è. Se uno non sa ESATTAMENTE il contenuto di questo libro...beh semplicemente rimane nell'oblio.
Poi inizi a leggere e la prima il primo periodo è pressappoco “corse via perché lo volevano inculare”. Fino a qui, direte voi, niente di poi così strano. Ma leggi la pagina e non c'è punteggiatura, neanche per i dialoghi. Continui e più lo fai più tu ricorda una strana fusione del metodo di Keruac misto a Bukowski. Ah! Aspetta, è scritto in terza persona. Cioè a leggerlo sembra Sulla Strada, ma è in terza persona, interessante. Realizzi che è in spagnolo. Spagnolo di dove, il mondo hispano-hablante è vasto...Colombia. Stile beat in Colombia? Sarà mica uno di quei nadaisti? Sì. Ok ma fino a qui Alessandro non mi hai detto niente di così pazzesco, ancora.
Ok e se ti dicessi che questo libro è una biografia modello beat che fluttua tra prima e terza persona liberamente, e che questa biografia è completamente falsa dalla prima all'ultima parola visto che nessuno dei personaggi è reale e nemmeno nessuno degli avvenimenti?
Fondamentalmente si tratta di una biografia leader del movimento sperimentale Nadaista, Gonzalo Arango, scritta da uno dei membri, Elmo Valencia, ma la biografia non è del movimento che conosciamo noi ma di uno parallelo, in un altra dimensione. Quindi, aspé, abbiamo: mockumentary beat alla colombiana contro l'ordine costituito con un protagonista “Bukowskiano” che mistifica il movimento stesso che lo ha prodotto.
Poi, così, ad un certo punto c'è un cane che parla. E poi il protagonista allunga il braccio e tocca le stelle. Ok. Si. E poi l'autore inizia a fare i jump cut. Per chi ignori il significato di questo termine da montatore cinametografico: si tratta di quando si fanno combaciare due immagini per spostare l'azione con un salto pindarico. Si si, l'osso di 2001. Quindi, il racconto inizia a saltare di qua e di là a distanza di poche frasi per introdurre l'altro protagonista, l'autore.
E per le prime 50 pagine queste sono solo le stranezze più “normali”
Bene bene bene, allora perché due stelle. Perché dopo le prime 50 pagine tutte queste idee svaniscono. Evaporano. Si disperdono. I nostri protagonisti finalmente si incontrano e iniziano a parlare di poesia e di quanto sia bella la poesia e della vita che è poesia. E il tutto assume, praticamente immediatamente, un tono saccente e auto-compiaciuto; insopportabile.
L'azione si blocca, questi non fanno altro che bersi caffé al bar e fare gli Oscar Wilde di turno della serie “Ha qualcosa da dichiarare?” “Solo il mio genio!” robe del genere.
Peccato, perché l'inizio era da 5 su 5.
Non sono riuscito a finirlo, che è un peccato perché cercando bene bene ho scoperto che verso la fine il tutto prende una piega ancora più surrealista/esistenzialista con i nostri che scappano dalla civilizzazione e vanno ad eremitare su un isola tropicale. Però la vita è breve e io ho una libreria piena di cose che devo ancora leggere.
Troppo vanesio: due stelle.
Questo libro è composto di 3 distinte parti e potrebbe deludere chi si aspetta un testo storico: Il Fascismo Russo è infatti formato da due saggi e alcuni documenti originali tradotti. Il primo saggio è di un russo (Kulesov) e incorpora una specie di timeline generale del movimento fascista russo e i suoi risvolti contemporanei post sovietici. Tuttavia non l'ho trovato per nulla efficace, divagando per più di metà del tempo a spiegare il fascismo italiano e il nazismo, essendo il testo pensato per un russo non propriamente informato e non per un italiano, il quale con tutte probabilità queste informazioni già le ha assorbite nel corso dei suoi studi superiori. Le successive lunghissime pagine sullo scenario post sovietico sono altrettanto prive di mordente per un motivo completamente differente, ossia si perde di vista completamente il fascismo russo facendo una critica/analisi del revisionismo comunista degli ultimi decenni dell'URSS. Il secondo saggio di Vittorio Strada è il punto più alto che raggiunge il libro. Molto meno di carattere puramente storico, non che ve ne sia completa assenza, tutt'altro, ma decisamente più riflessivo e “saggistico”, si interroga a lungo su quella che viene chiamata oggigiorno come “teoria del ferro di cavallo” ovvero della supposta vicinanza tra comunismo totalitario e totalitarismo nazi-fascista. Ho affrontato le prime pagine di questo secondo “capitolone” con cautela, ma la mia diffidenza iniziale sull'argomento presto è sparita: sarà stato per la capacità discorsiva/saggistica o il gran numero di fonti primarie portate a sostegno delle tesi ed antitesi, Strada da sicuramente a vedere di sapere di cosa sta parlando. Anche perché quella rossobruna è un ideologia di incredibile potenza in Russia oggi e perciò di basi storiche logicamente ne ha avute parecchie, come ci spiegano entrambi i saggi. Ma Strada non compara solo il fascismo russo sul piano internazionale con gli altri totalitarismi ma anche con gli altri movimenti anticomunisti nazionali e con altri movimenti post-ideologici talmente di nicchia da essere stati completamente dimenticati dal tempo (per lo meno qua da noi). Sebbene risenta, questa seconda parte, della mancanza di una sorta di timetable degli eventi e dei suoi protagonisti, era chiaro che essa non era tra gli obbiettivi delineati da Strada, che invece si è concentrato sul significato stesso del totalitarismo, sia etimologico sia antropologico/sociologico. Se la prima parte arriva si e no ad tre stelle proprio risicate qui siamo sicuramente più vicini ad una votazione di 4+.
L'ultima parte è formata dai documenti/manifesti tradotti più importanti del fascismo russo, tra cui il “celebre” manifesto <>. Questi proprio non li ho digeriti. Sarò io, saranno i miei preconcetti probabilmente, ma tutti i manifesti fascisti mi sembrano noiosi fino alla sonnolenza con la loro propaganda totalmente vuota di contenuti. Se riesco anche, a fatica a volte, a leggere Lenin e compagni(a), con i fascisti, di qualunque nazione, proprio mi stanco inevitabilmente perché, banalmente, le argomentazioni esposte sono prive di qualsiasi denuncia vera, a parte che verso gli ebrei e la democrazia. E il conservatorismo a me fa venir sonno. Devo ammettere che però, tra tutta la propaganda fascista che ho letto fin ora questa dei russi è sicuramente la meno faticosa, sarà perché meno inbellita. Notevole il documento della <> di Rodzaevskij dove si mette in mostra il dietrofront completo che il fascismo russo fece, ad un certo punto, con l'avvento dello stalinismo, nel quale l'autore pensa di aver trovato in Stalin l'ideale del suo uomo nuovo, buttando le basi appunto di quel rossobrunismo che oggi fa tanto parlare. Solo che Stalin in risposta lo ha fatto fucilare, quindi magari Rodzaevskij non ci aveva visto tanto giusto.
Per le raccolte di racconti Urania leggo i racconti in ordine sparso e li recensirò singolarmente.
Al momento ho letto:
- Quarto Reich (3/5) - Tentativo, tutto sommato abbastanza riuscito, di fantascienza ucronica dalle forti tinte horror. Finale superprevedibile, altrimenti sarebbero state 4 stelle. Scritto mediamente bene e godevolmente corto. Avrei apprezzato un po più di Messico, dove si svolge la storia, che avrebbe fatto da bel contrappunto ai suoi protagonisti tedeschi.
LETTE 1 DI 6
Palazzeschi e questa sua raccolta vanno inquadrati in primis all'interno del movimento futurista e più in generale all'interno del contesto letterario della sua epoca. Sicuramente valide le sue poesie, spesso sono cariche di autocelebrazione ma anche autoriflessione. Per questo possono essere godute da quelli che amano vederne risvolti psicologici o odiate da quelli che le trovano vanitose. Non saprei proprio dove infilarmi, in tale discussione. Ciò di cui sono convinto è che infilato nel suo contesto, di epoca e di appartenenza al movimento futurista, io lo trovo una voce singolare e interessante in entrambi i casi. In questa raccolta c'è di tutto e molto di questo tutto è degno di nota. 3 e mezzo
Libro scritto molto bene, anche se di negativo ha l'essere MOLTO di parte e perdersi, di tanto in tanto, in lunghe liste di sigle di partiti, le quali, alla lunga, sembrano tutte uguali.
L'argomento centrale è trattato bene, com'è ben strutturata tutta la serie di avvenimenti che ha portato il governo fascista portoghese a combattere guerre coloniali inutili e costose, quindi ad arruolare studenti di sinistra che poi, col tempo e sfruttando il malumore diffuso, ha portato alla politicizzazione delle forze armate e alla fine della dittatura.
L'autrice fa notevoli paragoni con le forze politiche italiane, in quanto conoscitrice della situazione nostrana, che rende ancora più suggestiva la lettura.
La parte più interessante probabilmente è però quella successiva al “colpo di stato”: le azioni di controrivoluzione sono spiegate nel dettaglio ma fluentemente.