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See allIl Processo è affascinante. Ti coglie alla sprovvista una mattina qualunque, sa essere snervante perché non ha chiare e facili vie d'uscita, e una volta che è incominciato, è assoluto. Sia ben chiaro, non è un processo che ha che fare con le leggi dello stato, ma con la Legge, inaccessibile e di difficile interpretazione, e davanti ad esso si è soli, al di là di tutto l'aiuto che potremmo mai ricevere da avvocati. Ecco, esistono due modi per affrontarlo: il primo è quello di occuparsi attivamente, ogni giorno, ogni ora del proprio Processo, in attesa di una provvisoria sentenza oppure di procrastinarlo, il secondo è oggetto di questo libro.
L'uomo e il piccolo cardo del deserto; il cardo e l'uomo addormentato.
“Tu sai tutto, mago. Ma io so una cosa soltanto... l'unica cosa vera!”.
Non è la prima volta che avete sentito questa frase nella vostra vita. È uno scontro tra due verità, ma ci sono verità più vere di altre? Alcune volte le verità ti imprigionano in un labirinto buio in cui la tua anima è in completa perdizione, in cui la realtà viene distorta e ottenebrata in modo che tu non veda più la luce del giorno.
Alcune volte le verità ti liberano e ti buttano in un mare di scelte, e non è detto che ti portino necessariamente alla luce, ma lo rendono solo possibile.
“Perché se ne stava lì così indifeso eppure così forte? Perché lei non riusciva a sconfiggerlo?”
Ci sono delle verità più forti delle altre?
Chissà come, questo uomo antico è capace di vedere la verità, ed essa non lo acceca né lo fa impazzire.
La fantascienza ha il potenziale di giudicare l'umanità in retrospettiva, e Speaker for the Dead è come se fosse arrivato dal futuro.
È un libro molto diverso da Ender's Game, il protagonista da stratega militare diventa uno stratega dell'animo umano, un lettore delle menti e delle emozioni. Attraverso lui, vediamo l'umanità in scena per come realmente è, scontrandosi con filtri cattolici e illusioni umane.
Lui cammina sfrontatamente in posti del mio cuore che tenevo come fossero terreno consacrato, dove a nessun altro era permesso entrare. E mette in piedi sui piccoli germogli che si aggrappano ancora alla vita in questo suolo disseccato.
Ma l'anima di questo libro ruota attorno ai piccoli esseri alieni con cui l'umanità si trova a ‘convivere' per la prima volta, questo libro affronta le implicazioni etiche che ciò comporta, e in un certo senso ridefinisce l'umanità nel tentativo di coesistenza, grazie all'empatia e la mutua comprensione per il benessere collettivo. Un esperimento mai veramente avvenuto sulla Terra, e che francamente mi ha entusiasmato molto.
Vengono poste molte domande, e in realtà poche risposte, ma è la qualità di queste che eleva questo romanzo fra i migliori di quelli che affrontano questioni sociologiche e filosofiche simili che abbia letto.
Consigliato a tutti, tranne ai Varelse.
Marte non è altro che una seconda America
Ho un altissima considerazione per quest'opera, che inizialmente mi ha destabilizzato. Nella mia ignoranza mi aspettavo una storia tendente all'hard sci-fi, mentre l'opera è focalizzata su aspetti antropologici e sociologici, a discapito dei dettagli tecnici e della coerenza. Infatti Marte non è sempre la stessa Marte nei racconti, i Marziani non son sempre gli stessi, e in realtà è tutto un semplice pretesto perché per Bradbury Marte è nient'altro che un'altra Terra. Questo è dovuto alla natura fix-up della raccolta, che tuttavia contiene un ordine cronologico che divide l'opera in parti dedicate rispettivamente a conquista, colonizzazione e declino.
Un titolo meno d'impatto, ma forse più adeguato sarebbe stato Cronache Umane (o Terrestri), perché non si manca mai di parlare dell'uomo, delle sue speranze, delle sue paure e dei suoi più intimi sogni e incubi. Una serie di racconti, non tutti dello stesso calibro, ma tutti narrati brillantemente, che hanno saputo stimolare in me riflessioni e inquietudini.
È un opera densa di idee e di critica, da rileggere e da sottolineare. Ha un respiro più ampio rispetto a Farnheit 451 e affronta temi diversi, in una cornice fantascientifica, Bradbury dipinge l'umanitá nel suo peggio.
“Ma in fin dei conti, che cos'è questa maggioranza e da chi è composta? e che cosa pensa, come fa a fare quello che fa, non cambierà mai? e io, soprattutto, come ho fatto a trovarmici in mezzo, a questa marcia maggioranza? Non mi ci trovo bene, io. Si tratta forse di claustrofobia, di paura della folla, o semplicemente di buon senso?”
“Potenti sono gli Ainur, e potentissimo tra loro è Melkor, ma questo egli deve sapere, e con lui tutti gli Ainur, che io sono Illùvatar, e le cose che avete cantato io le esibirò sì che voi vediate ciò che avete fatto. E tu, Melkor, t'avvedrai che nessun tema può essere eseguito, che non abbia la sua più remota forma in me, e che nessuno può alterare la musica a mio dispetto. Poiché colui che vi si provi non farà che comprovare di essere mio strumento nell'immaginare cose più meravigliose di quante egli abbia potuto immaginare”
Ho letto con profonda tristezza le epiche e tragiche vicende de Il Silmarillion, che niente invidiano ai miti epici nordici o ellenici, seppur creati per un mondo immaginario e alieno creato dalla mente di un professore inglese solo nello scorso secolo.
Quest'opera rientra sicuramente tra le opere più suggestive e imponenti mai lette, che sono riuscite a raggiungere un livello di credibilità tale che il sottile velo tra realtà e fantasia si fosse sciolto, tanto che ho difficoltà a non considerarle come un antologia di gesta epiche dei giorni Antichi. Non saprei dire se sono stati più convincenti i dialoghi che sono riusciti a fare una breccia nel mio cuore o la tragedia. Sono certo che i sentimenti di dolore e di perdita trasmessomi dai grandi attori della storia, le magnifiche aule scavate nella terra e nascoste tra magiche foreste, o ancora le battaglie più aspre e memorabili, mi hanno procurato un perenne sense of wonder completamente alienante. Rimarranno spero sempre impresse nella mia mente lo sconforto dei figli di Hùrin, lo scontro tra Morgoth e Fingolfin, le peripezie di Beren e l'amore di Luthien che ha generato Eärendil che è riuscito laddove nessuno dei mortali. O ancora La Caduta di Gondolin, della Caduta del regno di Numenor, e con esso tutto ciò che di bello e magico restava a fronte di un lento ed inesorabile decadimento di tutto ciò che era bello.
Quest'opera non è solo l'opera epica più bella che abbia mai letto, ma anche l'opera più credibile, in un genere dove questa caratteristica è fondamentale. Ho apprezzato anche lo spettro cristiano, e la dose di filosofia fatalista a tratti conservativa e nazionalista che permeano nelle storie, tocco personale -e forse involontario- dell'autore che cerca di inquadrare concetti come la vita, l'arte, la bellezza e il male. Tuttavia mi sento di consigliare di affrontarlo nella maniera giusta, a piccole dosi, apprezzando frase dopo frase perché nient'altro merita tanta attenzione come Il Silmarillion.