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Con tutto l'entusiasmo possibile e immaginabile dopo aver adorato il primo libro pur con tutti i suoi difetti, mi sono buttato a capofitto sul sequel. Il tuffo però è stato sfortunato e sono caduto di testa sugli scogli.
Il primo problema è che questo libro non è niente di più di una minestra riscaldata e allungata all'inverosimile da chili su chili di politically correct che porteranno il caro lettore, anzi, carö lettorö, a un'indigestione di buonismo di quelle memorabili. Tale indigestione, tra l'altro, sarà probabilmente l'unica cosa che mi ricorderò di questo libro da qui a un anno.
Ora vediamo un po' più da vicino l'opera senza spoilerare troppo. La trama è simile a quella del primo (e già qui qualcosa non va), dove un gruppo di “supereroi” svolge una missione tanto segreta quanto improbabile in cui fin dall'inizio l'argomento principale è l'unico dilemma permesso nella società del XXI secolo: sono maschio o femmina? Come ormai succede nella maggior parte delle opere più pubblicizzate, ormai i personaggi non sono più caratterizzati dalla caratura morale, dalla bontà d'animo o dalle conseguenze delle loro azioni. No, ormai tutto ciò non conta più nulla. L'unica missione accettabile è quella di aderire ciecamente al nuovo bipensiero e l'unico dubbio che i personaggi possono permettersi riguarda il fatto di non essere sicuri, anzi, sicurö, appunto, di stare di qua o di là. Guai ad avere un dubbio su altro.
In ogni caso, butto giù il boccone amaro e mi dico, superato il pippone inizia l'azione. Sbagliato. Sbagliatissimo. Il twist della trama sta insieme con lo scotch, anzi, non sta insieme per niente, e si vede da un chilometro che il tutto è stato scritto in funzione di fare un secondo film, ma che la sceneggiatura originale rispettasse fin dall'inizio tutti i canoni per essere una bastonata sui denti di chi lo guarda ma che inspiegabilmente potrebbe fare successo al botteghino.
Passiamo poi ai personaggi. Il protagonista, Wade, è cambiato rispetto al primo libro. Nel primo libro era facile tifare per lui: il classico “sfigato” da videogame da anni Novanta che si innamora, viene ricambiato (che coraggio, l'autore, in questo caso), sfida i videogiochi e salva tutto e tutti. Nel secondo libro Wade è un miliardario simpatico come un calcio nelle parti basse (e la trasformazione potrebbe starci, tutto sommato) che vuole sempre avere ragione e ha sempre ragione. E qui il secondo (anzi il centesimo) problema. Nella vita vera, Art3mis (l'unico personaggio riuscito e credibile sia nel primo, che nel secondo libro) l'avrebbe lasciato affogare nella tazza dei cereali il terzo mattino di convivenza.
Non parliamo poi dei due “santoni” Og e Anorak - definirli grotteschi sarebbe troppo poco. Inoltre, dove nel primo libro il focus era molto sui videogiochi e sui giochi di ruolo, in questo secondo libro il focus è al 95% sui film. Non essendo un cinefilo, ma anche non essendo interessato ai film in generale, molte parti del libro per me sono state noiose e incomprensibili.
Il libro è stato di una noia mortale, non vedevo l'ora che finisse e ho fatto una fatica tremenda a portarlo a termine.
Incredibilmente, comunque, Wade sul finale si rivolge alla defunta madre chiamandola “mamma”. Ammetto che a quel punto ero sicuro che l'avrebbe chiamata “genitore 1”. Questo sussulto di vita, però, è insufficiente per andare oltre la stella.
In una recensione in inglese ho letto: This book should be reserved only for punishing society's most heinous criminals. Non potrei essere più d'accordo. Da una parte è un peccato perché la scrittura è sempre di ottimo livello, ma spero che l'autore prima di tutto non vada avanti con questa storia (ci sarebbero modi meno dolorosi di suicidarsi piuttosto che leggere un eventuale terzo libro) e, soprattutto, prenda un po' di coraggio e si pieghi leggermente meno all'egemonia del politically correct che ha permeato ogni singola pagina di questo terrificante libro.