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Cosa succede se un gruppo di ragazzi e bambini finiscono improvvisamente su un'isola deserta in mezzo all'oceano? Si potrà pensare che essendo giovani adolescenti o addirittura piccoli bambini non siano contagiati dalla malvagità più facilmente accostabile alle persone adulte e dunque si possa instaurare un “regno” idilliaco, fatto e vissuto da persone innocenti. Niente di più sbagliato; ma francamente non è che me lo doveva dire Golding, basta entrare in un asilo o in una scuola materna per capire che l'innocenza scompare all'intorno dei tre anni. Diciamo che si può tranquillamente recensire il libro dividendolo in due parti: quella puramente narrativa e quella “psicologica/antropologica”: Narrativa. La storia è a tratti lacunosa (un bambino che scompare e di cui non si sa più nulla in tutto il libro senza nessuna spiegazione), forzato in alcuni passaggi (poco credibile e forzata l'identità della bestia), poco scorrevole, ripetitivo e legnoso che rivela come la narrazione sia poco dinamica, dunque direi che è decisamente insufficiente. Psicologica: sicuramente l'autore è bravo nel cogliere le dinamiche del branco e il suo regresso allo stato selvaggio e all'irrazionalità fino ad arrivare all'omicidio, esplora bene quello che potrebbe essere il comportamento tipico di chi si ritrova all'improvviso alla mercé della natura selvaggia, ma traspaiono un po' troppo le idee antiquate dell'epoca (il libro è del 1954, ndr), insomma l'idea c'è e anche l'ambientazione, ma a mio avviso rimane il tutto un po' troppo sopravvalutato. Una conferma del fatto che essere premio Nobel non implichi scrivere un buon libro. Sicuramente fonte di commenti e di discussioni, ma esistono libri decisamente migliori.